Eventi alla Dimora storica del Lazio
“Viva pur viva Versaglia” è un concerto del Formello Chigi Festival che ci ha riportato indietro nel tempo, agli antichi fasti del Cardinale Chigi e di Bernardo Pasquini, che qui vi soggiornò.
La teatralità di questa villa -tra le dimore storiche del Lazio– ha creato, intorno alle cinque musiciste, una scenografia avvolgente.
Il tema della donna, anzi della donna innamorata e dell’amore in genere, è stato al centro di una intensa esecuzione. Cos’è l’amore se non sofferenza, dolore, vendetta?
Ma il tema della donna, in questa serata, è andato ben oltre e, bisogna riallacciarsi alla storia della musica, per poter raccontare in maniera completa questo evento.
Un pezzetto di storia: le donne “barocche”
La musica barocca, tra la fine del 1500 e per tutto il 1600, ha avuto il compito di traghettare le musiciste in uno spazio tutto loro e di lasciare che si affermassero nelle corti più importanti del tempo, al pari dei musicisti.
Il Concerto delle Dame di Ferrara, ne fu un esempio. Vi suonarono Laura Peperara, Anna Guarini e Livia D’Arco, e il loro coinvolgimento, presso la corte di Alfonso II d’Este a Ferrara, aprì le porte ad una sempre maggiore partecipazione delle donne nell’ambito musicale.
Il compositore e cantore Giulio Caccini, vedendo la loro esibizione, subito, se ne invaghì ed ebbe l’idea di allestire uno spettacolo simile “Il Concerto Caccini”, appunto, nel quale fece esibire la seconda moglie, Margherita Benevoli della Scala, e le due figlie, Francesca e Settimia. Tra queste, fu Francesca Caccini, detta La Cecchina, a cavalcare l’onda più alta, tra la fine del Rinascimento e l’inizio del Barocco, non solo nella musica ma anche nella poesia.
Fu la prima donna a comporre un’opera teatrale e anche uno dei pochi talenti a potersi esibire all’Estero, occasione rara in quel periodo storico.
Altro grande nome, nel panorama musicale barocco, fu quello di Maddalena Casulana, di cui ci sono giunte poche notizie ma è certo sia stata la prima compositrice nella storia della musica colta.
Non ultima, e con lei ci addentriamo nel 1600, Barbara Strozzi, che ricoprì il ruolo di soprano e compositrice, ma che fu anche imprenditrice di sé stessa, incarnando appieno la figura della donna emancipata.
A Villa Versaglia donne barocche in concerto
E veniamo dunque al nostro concerto “Viva pur viva Versaglia”.
Mi sono appositamente appoggiata a questa schiera di donne del passato perché, intervistando Raffaella Milanesi, il soprano che ci ha deliziati con la sua voce, sono rimasta colpita da una frase che ha detto.
…questo essere tutte donne, stasera, richiama alla mente quelle musiciste barocche ritratte in tanti dipinti, è come essere quelle donne”.
Così ho seguito i dipinti.
E, in effetti “Viva pur via Versaglia” ha ricalcato quel filone iconico che resta nell’immaginario di tutti. E, al centro del palco, non poteva mancare un clavicembalo, lo strumento principe di un’atmosfera e un suono che senza trucchi e senza inganni ha ricreato arie antiche e suggestioni barocche.
Le musiciste di Villa Versaglia
Le musiciste che sono salite sul palco con Raffaella Milanesi: Valentina Nicolai, Katarzyna Solecka, Rebeca e Elisabetta Ferri, hanno suonato alla Corte dei Chigi. Siamo nel 2024, è vero, è un’epoca moderna ma, come allora, il processo di affermazione della donna -nei campi deputati agli uomini- è ancora in evoluzione. E, queste donne hanno dei curriculum e delle collaborazioni che se solo fossero state elencate avrebbero fatto tremare le sedie in platea.
Raffaella Milanesi mi ha concesso una bellissima intervista per l’occasione. È una cantante di grande caratura e di incredibile presenza scenica. A Villa Versaglia ha esibito la sua modernità, e così le musiciste con lei, forti del tempo che vivono.
Hanno disposto le note come fossero guerriere indomite mentre, le protagoniste delle arie, Armida, Ottavia, Calisto, Diana, Antigona, Lisaura e Rossane, soccombevano all’amore.
Un contrasto visivo molto forte, vibrante, che ferisce e purifica.
In Viva pur viva Versaglia, Raffaella Milanesi interpreta le protagoniste di tragedie
La Milanesi, rispetto a questa congiunzione di donne, è rimasta sorpresa lei stessa, mi ha detto: “Collaboro con piccoli gruppi, ma di solito misti. Un impianto di sole donne è la prima volta che mi capita.
L’apporto che siamo in grado di dare alla musica è unico, il linguaggio è unico”.
La vocalità eccelsa di questa artista ha reso densa l’aria, l’ha impastata e modellata come fosse burro.
E, nonostante la delicatezza che le traspariva addosso, sembrava stringere tra le mani il cuore delle sue protagoniste, e farne sangue. Non ha prestato loro solo il volto, le mani, il corpo, la voce, le ha trascinate fuori dal guscio mentre cantava il loro tormento, soffrendo con loro, gridando e subendo quell’ardere d’amore.
Un lamento che poi ha tentato più volte di uccidere, rinnegare, soffocare, con cui si è fatta scudo per imporsi, vendicarsi, ricominciare.
L’Armida abbandonata
I tanti suoni della sua voce, alti, bassi, larghi, lunghi, potenti, fragili, terreni, stellari, hanno crudamente sviscerato i sentimenti più elevati ma anche quelli più puerili.
Ah’, crudele, e pur ten vai
E mi lasci in preda al duolo
E pur sai, che sei tu solo
Il diletto del mio cor.
Come, ingrato, e come puoi
Involare a questo sen
Il seren de lumi tuoi,
Se per te son tutta ardor?”
Questo è il pianto isterico della maga Armida, abbandonata da Rinaldo che – finito l’incantesimo con cui lei l’aveva soggiogato per trattenerlo a sé- non cade più nei suoi tranelli e, anzi, se ne va con i crociati, maturando una nuova vita.
Lei sviene e quando non lo trova al suo fianco depone ogni magia, si fa guerriera scaltra, pronta a vendicarsi di lui. Da vittima a carnefice.
Ottavia disprezzata
Ogni aria ha la sua protagonista e il suo dramma.
La regina Ottavia per esempio, esplode in un pianto amaro verso Nerone che l’ha tradita con Poppea. Anche lei grida alla vendetta e si fa dominatrice , ordina che la rivale in amore venga giustiziata. Ma, invece, sarà lei a morire.
In Ottavia avanzano spesso dei moti di pentimento, fa la guerra alla sua anima ferita e, in un momento di lucidità, fa anche una triste diṡàmina della figura maschile.
“Una frase clou di questa aria è: allattiamo il carnefice crudele” ha precisato la Milanesi, aggiungendo “…cioè, noi donne diamo i natali all’uomo, fabbrichiamo l’uomo, e quell’uomo diventa il nostro carnefice, contribuiamo, noi stesse, alla nostra morte, mentale e fisica”.
Antigona, l’indomita
Non tutte le donne però si lasciano osteggiare da un uomo. Ne fu l’esempio Antigona che, per seppellire l’amato fratello, Polinice, sfidò Creonte, il nuovo re di Tebe salito al trono.
La tragedia di Sofocle vede questa donna subire la prigionia, solo perché caparbia. Venne rinchiusa in una grotta, al buio, condannata a morire di stenti.
Antigona si suicida, ma da combattente. E, a pagare il prezzo più salato fu Creonte, in realtà, perché il figlio, promesso sposo di Antigona, e anche sua moglie Euridice, si suicidarono a loro volta, incapaci di accettare le scelte del sovrano.
Raffaella Milanesi con una certa soddisfazione nella voce aggiunge:
Nell’aria di Tommaso Traetta, che abbiamo suonato, lui la salva Antigona, ne fa un’eroina.
In questo recitativo, il momento in cui lei abbraccia l’urna del fratello è tra le arie più belle mai scritte, diventa una ninna nanna, è meravigliosa”.
E che interpretazione ha fatto la Milanesi di questo passaggio!
Un’emozione che ha trasformato il concerto a Villa Versaglia in una veglia funebre, tutti eravamo lì a piangere il fratello Polinice, a dargli degna sepoltura una seconda volta.
Lisaura e Rossane, gelose per amore
Ci si riprende da un dolore, e subito si viene travolti da una nuova tempesta ormonale.
Stavolta, due donne che si contendono lo stesso uomo, Alessandro Magno.
Sono le principesse Lisaura e Rossane che, quando il condottiero è in battaglia, temono per lui, pregano per lui, lo venerano come un Dio. E, in battaglia, lo è un Dio. Ha conquistato sconfinati mondi, eppure, in cuor suo non sa decidersi tra le due: ama la principessa di Scizia oppure la principessa fatta prigioniera durante la guerra di Persia?
La gelosia tra le rivali cresce, alimentata dall’indecisione dell’uomo, e diventa tanto grande da relegare sullo sfondo la guerra per la conquista dell’India e i motti religiosi che trascinava con sé.
È risolutivo il pianto di Rossane che credendolo morto si dispera. Alessandro Magno sopraggiunge mentre la donna è sopraffatta dal dolore per la sua perdita, da quell’istante in lui si fa strada la decisione, la sposerà, lasciando Lisaura tra le braccia del re Tassile, suo fido sostenitore.
“Lisaura, rifiutata, paragona Alessandro a un girasole, che è un fiore che rivolge la sua bellezza di petali verso il sole, quindi verso Rossane, non verso di lei” ha raccontato Raffaella Milanesi.
Abbiamo dunque due facce della stessa medaglia, in una la delusione, nell’altra la gioia per aver conquistato il conteso Alessandro.
Lisaura piange:
Sì m’è caro imitar quel bel fiore
Che del sol si rivolge al fulgore,
E s’appaga in mirar la sua Beltà.
Pur diversa da fiore sì bello,
Vuò seguir chi mi strugge;
ma quello Siegue solo chi vita gli dà.
Rossane trionfa:
Sento un’intensa inusitata gioja.
Tutta occuparmi l’Alma,
E tranquillar la mente.
Par che mi dica Amore, Spera, lieta sarai.
Nume possente
L’Armi della bellezza A conquistar vince il Mondo, aita.
Rendimi a pieno avventurosa,
e in tanto L’Alte Fortune mie faran Vanto.
Diana e Calisto, vittime di Giove
In altro contesto e tutt’altro finale ebbero la Dea Diana e la ninfa Calisto.
Legate, peraltro, illusoriamente da un raggiro di Giove, le due donne amarono senza essere ricambiate e soffrirono la loro condizione di fragilità.
La Dea Diana e l’amore proibito
Diana s’invaghì d’un pastore, Endimione, lo guardava dormire e sognava di fare l’amore con lui, anche se non poteva, le era proibito dai voti di castità.
Questi amori proibiti, già celebrati nelle metamorfosi di Ovidio, prendono fuoco all’istante, infiammano il cuore, la mente, tutto brucia, divampa, incenerisce, lasciando solo miseria.
La povera Diana subì la stessa sorte ma, nella musica, le note hanno reso talmente sensuale il racconto da trasformare il sogno a occhi aperti della dea in un amplesso reale.
La ninfa Calisto e l’amore bugiardo
Calisto invece fu raggirata davvero. Devota a Diana e ignara che questa ambisse altri trofei, quando le si presentò davanti la ninfa subito se ne innamorò. Non immaginando lontanamente che fosse il menzognero Giove, presentatosi sotto mentite spoglie.
Siamo di fronte a due amori platonici, ma che si consumano, e consumano la natura che li circonda.
“Le selve vanno in fiamme, Diana fugge via, il senso dell’abbandono viene trasferito alla natura” ha suggerito la Milanesi.
Heading Title
Calisto, infatti, chiede alla natura:
Piante ombrose,
dove sono i vostri onori?
Vaghi fiori
dalla fiamma inceneriti,
colli, e liti
di smeraldi già coperti
or deserti
del bel verde,
io vi sospiro:
dove giro,
calda, il piede, e sitibonda,
trovo l’onda
rifuggita entro la fonte,
nella fronte
bagnar posso,
ho ‘l labbro ardente.
Inclemente:
si chi tuona arde la terra?
Non più Giove,
ah non più guerra”
Sopra la Villa Versaglia splende l’Orsa Maggiore
Calisto arriva alla fonte del Ladone, attende Diana, trepidante, ma quella è impegnata a salvare il suo Endimione dalle ire del Dio Pan, in collera perché il giovane pastore non aveva partecipato alle celebrazioni in suo onore.
Nel mentre, la Dea Giunone, gelosa dell’amore che Giove provava per la ninfa, la fa rapire dalle Erinni, le furie della vendetta, che la tramutano in orsa. Giove e Mercurio accorrono e la portano via. Succedono molte altre cose che si accavallano indemoniate e, alla fine, Calisto, da orsa, viene tramutata ancora, stavolta in una delle lune di Giove: l’Orsa Maggiore.
Viva pur viva Versaglia: un inno alle donne
Raffaella Milanesi ha concluso così sull’amore:
La cantata di Barbara Strozzi -Pensaci ben mio core-, tra le ultime arie che abbiamo suonato, lancia un monito alle donne. Attente, dice, non fidatevi dell’uomo o farete la fine delle farfalle che, per volare troppo vicino alle fiamme, si bruciano le ali e perdono la vita.
Un pensiero che vive anche in Alma mia -il sipario di questo concerto a Villa Versaglia- le cui parole scuotono la donna a pensarsi più fiduciosa della propria bellezza, e a non farsi serva dell’amore, ne va della sua libertà”
Questo inno alle donne, in Viva pur via Versaglia, è stato un tavolo d’ascolto, dove la vita di sette donne struggenti è diventata elemento di propaganda, un manifesto femminista. Rafforzato dal fatto che a suonare e cantare di tradimento, abbandono, delusione, sono state altre cinque donne, cinque mondi o -come ha precisato la Milanesi- cinque soliste, perché in un concerto di musica barocca, ognuna diventa indipendente col suo strumento o voce.
La canzone Viva pur viva Versaglia
Vista la straordinarietà di così tante donne in una serata soltanto -senza dimenticare le musiciste del periodo barocco con cui quelle moderne si sono incontrate in un limbo virtuale- il concerto si sarebbe potuto chiamare “Viva pur viva le donne”.
E, invece, viene tirata in ballo la Versaglia. Non solo per la location.
“Viva pur viva Versaglia” è, infatti, una canzone del 1667, scritta da Sebastiano Baldini che, all’epoca, componeva poesie per musica alle dipendenze del Cardinale Chigi.
Questa, in particolare, voleva allietare il Cardinale dopo la perdita di Papa Alessandro VII Chigi e la proclamazione a nuovo Papa di Clemente IX Rospigliosi.
Una perfetta ricostruzione della Villa Versaglia
La canzone non è musicata ma le parole sono così reali!
Leggerla stando seduti in mezzo a ciò che resta della villa sembra aggiungere i pezzi che mancano, il soffitto venuto giù, lo scorrazzare degli animali selvatici, l’agrumeto, gli orti, le tavole imbandite per gli ospiti, l’uliveto.
La ricompone ai nostri occhi e ce la rende quale dimora più bella di tutti i “paradisi” intorno.
Montalto, Ludovisi, Mattei, Cenci, Borghese, Pio, Farnese… li nomina tutti il Baldini, ma “al cospetto di Versaglia sembreranno catapecchie”, scrive.
La notte si è portato via la musica, chissà se Pantasima, dall’alto della Torre Chigi ha ascoltato le storie, le note, gli applausi?
Chissà… io confido di sì. È un fantasma, ma pur sempre una donna.
Grazie a Massimiliano Tisano, direttore del Formello Chigi Festival che porta sul palco sempre grandi artisti!
E a lei Raffaella Milanesi, per avermi dato tanti spunti diversi e per la voce incredibile, grazie davvero.
Viva il nostro Comune di Formello e tutte le Dimore Storiche del Lazio, perché la “cura” ritorni ad essere una pratica conosciuta tra i comuni mortali. Preserviamo ciò che abbiamo.
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.
2 commenti
Bravissima Emanuela!!! Purtroppo per problemi di famiglia non ho potuto ascoltare questo bellissimo concerto ma, leggendo il tuo articolo, mi è sembrato di essere stata presente e aver goduto della scelta e dell’altro livello delle musiciste!!! Grazie Emanuela per avermi fatto godere …di riflesso!! Alla prossima emozione!
Grazie a te Luisella, mi fa piacere che il racconto ti sia arrivato.
Alcuni eventi sono talmente ricchi di elementi che è un vero piacere fare ricerche e spaziare
Un abbraccio