Home VIAGGIO A REGOLA D'ARTE 15 Muse: una “silloge” di donne

15 Muse: una “silloge” di donne

La poesia e la pittura si incontrano in questa raccolta e, le donne descritte, si animano dentro di noi, rendendoci ognuna di loro

di Emanuela Gizzi
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La poesia che succhia il nettare dalla pittura

15 Muse è l’ultima trama che ho scritto, dedicata alle donne. E quindi anche a me stessa. Una trama densa.
Di colori, soprattutto, e di pensieri e arte altrui.
No, non ho copiato, sono lontana da certe appropriazioni indebite. Ma ho guardato, mi sono stupita, ho abbracciato ogni ritratto come l’avessi dipinto io.
Non vi torna?
15 Muse è una silloge di poesie e io, in questa particolare esperienza, mi sono sentita un’ape, o una farfalla. Mi sono posata su dei fiori famosi e li ho succhiati come fossero nettare.
Avete presente La Gioconda? Tanto per citare un volto che ha fatto il giro del mondo!
Mi sono posata sul quadro, volandoci sopra e camminandoci dentro, e ho toccato le sue mani leggere, il sorriso enigmatico, lo sguardo penetrante. Poi l’ho poetizzata entrando nella sua storia. Nella storia della donna dietro la musa e nel suo rapporto col pittore.

Da dove parte l’idea di 15 Muse

Mi piace da sempre la contaminazione tra Fotografia e Poesia, Disegno e Poesia.
Questa volta ho scavato in profondità per sviscerare la figura femminile. E, ovviamente, come si fa a non sentirsi trascinati da certe donne che hanno riempito il tempo e lo spazio? Così, sono diventate anche mie muse, mie eroine, mie maestre di vita. E io a queste donne, e a molte altre che non ho inserito nella silloge, devo tantissimo.
Mia nonna e mia madre mi hanno educata, queste altre donne mi hanno liberata.

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Non so se conoscete la storia di Jeanne Hébuterne, ad esempio. Lei è stata la musa di Amedeo Modigliani.
E, credo che il percorso per arrivare a 15 Muse sia partito da lì. Da quando, un giorno, mi sono imbattuta in lei.
Modì la chiamava “Noce di cocco” per la sua carnagione nivea, e l’ha ritratta ossessivamente, denotando in apparenza un grande amore per lei. Ma, in realtà, era lei quella devota. Tanto che, appena lui morì, Jeanne si lanciò giù dalla finestra della casa dove vivevano.
La nota opprimente è che lo fece portando nel grembo suo figlio e lasciandone orfano un altro.
Questo fatto mi ha scombussolata e mi scombussola tutt’ora.
Ho cercato di immaginarla -in quella topaia dove vivevano- mentre moriva di stenti appresso a un egoista, quando invece avrebbe potuto diventare lei stessa una pittrice affermata. Ma no, preferì essere la sua ombra, la sua vittima sacrificale.
Ho lottato per lei, ho assorbito le sue fragilità, l’ho pensata lontana da Modigliani, felice, appagata, autonoma. Sì, avrei tanto voluto darle un finale diverso ma, visto che non si può, è doveroso fare di più per noi stesse. Non sprechiamo mai le nostre vite dietro a chi non ci merita.

Cosa nascondono le 15 Muse?

Ecco, da Jeanne in poi ho sviluppato l’idea che dietro ad ogni Musa ci fosse una donna traviata o prigioniera delle mani di un pittore egoista. E, in effetti, questa considerazione non era poi così lontana dalla realtà.
Tuttavia, ho trovato anche dell’altro: le loro storie personali, ad esempio, la sensualità, il loro potere metafisico, la determinazione.
E, sulla base di tante informazioni, il fascino di alcune di queste donne dipinte mi ha rapita, letteralmente.
Nella silloge ci sono quindici dei ritratti più famosi al mondo. Non li ho scelti casualmente, sono quadri che mi hanno impressionata, che mi hanno cambiata, mi hanno resa una combattente.
Donne in cui mi sono ritrovata e da cui sono fuggita.

 

Le Muse misteriose

La Gioconda

Come si può non sentirsi Monnalisa, almeno una volta nella vita?
Misteriosa, metà uomo metà donna, con le mani di velluto e il sorriso beffardo. Una donna che sembra contraddittoria, e nemmeno troppo bella, ma che poi si dona, generosa, e di una bellezza che porta lo sguardo a indugiare su ogni dettaglio che le appartiene.
Leonardo dipinse sua madre?
Spiegherebbe anche il perché minuzioso di tante notizie, di tante ambiguità e anche del perché ci ritroviamo accolti in lei.

La Ragazza con l’Orecchino di Perla

Monnalisa non è la sola che ti entra nel cuore e non lo lascia più.
C’è quella “Ragazza con l’Orecchino di Perla” che ci fa sentire belle, con le labbra di fragola e una semplicità che è il tonico essenziale per affrontare questa vita. Ma la musa di Veermer trabocca soprattutto di timidezza, fragilità, indecisione.
L’unica perfezione ostentata è quel suo orecchino. Un vezzo che forse non poteva nemmeno permettersi ma che le dona. 
Nei suoi occhi leggiamo fiducia, adulazione, l’attimo prima di un innamoramento.

Jeanne Hébuterne con scialle rosso

Di Jeanne Hébuterne ho già detto molto. Nel quadro che ho voluto mettere in poesia, siede, con il grembo rotondo, in attesa del figlio che ucciderà.
Lei è quella da cui fuggire lontane ma è anche quella dentro cui ci ritroviamo tutte, perché è talentuosa, sensibile, in cerca d’amore.
Forse, nessuna di noi avrebbe sacrificato un figlio per un uomo, o forse sì, chi può dire cosa capita alla mente quando è soggiogata da qualcuno che ti rapisce il pensiero?

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Le Muse venerate

La Nascita di Venere

E poi c’è lei, quella più graziosa di tutte, antica nelle movenze, silenziosa e metafisica, la Venere che nasce dalle acque, una ragazza tra due poteri forti che la vogliono: sacra o profana, vestita o nuda, porcellana o rugiada.
Una donna contesa ma anche “strattonata”.
Botticelli ne fa incarnazione di leggerezza, nonostante i moti che le si agitano intorno. E, sullo sfondo, brilla il Golfo dei Poeti, che diventa il rifugio sicuro di tutte, il luogo dove trovare la pace.

La Stella

Per un piccolo frangente della mia vita ho studiato danza, e quel mondo mi ha sempre emozionata. Così, tra i miei pittori preferiti c’è un signore che si chiama Dégas che non indago in quanto uomo, perché altrimenti diserterei le sue mostre, ma abbraccio in quelle pennellate che mi fanno volare.
Uno dei suoi quadri che mi produce questo effetto è La Stella, un’Etoile in mezzo al palco che diventa gabbiano, si libra, risplendendo.
In lei è custodita la bambina, il sogno, le aspettative ma anche, e purtroppo, quella tremenda sensazione d’invidia. Dietro di lei non c’è un corpo di ballo solidale. Il suo successo non è un successo, ma l’insuccesso delle altre.

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Le Muse in amore

Il Bacio di Klimt

Se c’è qualcuna che sa tenersi stretto un uomo, che sa viversi l’amore e l’indipendenza, di pari passo, questa è la donna confezionata ne “Il Bacio di Klimt”.
Non c’è gerarchia, c’è accoglienza. Non c’è frustrazione ma fiducia. Sono un uomo e una donna, diversi insieme.
Lei è tessuta dentro l’uomo in una forma sana di amore e rispetto, di reciprocità. Qualcosa di questo quadro lascia sazi.

Il ritratto di Dora Maar

In contrasto a questa forma umana, normale, di amarsi, c’è Il Ritratto di Dora Maar a ostacolare la felicità raggiunta.
Dora appare come una traccia fotografica, i suoi spostamenti vengono catturati e quindi ha profili diversi, nasconde dolore, nasconde le mani di Picasso, che non sapevano omaggiare la sua musa ma trasfigurarla. E non solo sulla tela.
Dora è la donna di cui oggi si parla tanto, la donna offesa, picchiata, uccisa. Quella da cui scappare perché significa che altrimenti ci siamo messe nelle mani di un violento e acconsentiamo al suo travaglio interiore, lo assecondiamo, perfino.

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Tra le 15 Muse: le Madonne

L’Annunciata e La Madonna dei Pellegrini

E come non ci si può sentire Madonne! Che non vuol dire necessariamente sentirsi pie. Non vuol significare essere madri di tutti gli uomini, ma semplicemente Maria, la donna che -a un certo punto della sua vita, secondo i misteri biblici-, avrebbe scoperto di essere in dolce attesa di Gesù.
Non entro nel merito se crediamo o no all’Annunciazione, ma Maria comunque partorisce Gesù. E lo fa con amore. È una madre.
Ci sono pittori che l’hanno trasposta sacra, piena di grazia, mentre l’Angelo le da la notizia; oppure profana, umile, mentre accoglie dei pellegrini sull’uscio di casa.

L’Annunciata ci mostra lo stupore davanti alla notizia di aspettare un bambino, la Madonna dei Pellegrini ha già il Bambinello in braccio.
Non sono solo due momenti diversi della maternità ma anche due versioni contrapposte di una Santa.
La prima è adornata di un velo celeste che la rende regina e anche iconica: così immaginiamo la Madonna e, Antonello da Messina, ne fa un ritratto memorabile, candido, elegante e pure preoccupato. Gesù o no, un bambino ti cambia la vita!
La seconda è anticonformista. Per raffigurarla, il Caravaggio (e non poteva essere che lui), fa posare una cortigiana d’alto bordo, restituendoci una figura terrena, violata da uomini, accogliente con chi bussa alla sua porta, carnale.
In loro -comunque- ci rispecchiamo, non sono Madonne inaccessibili, ci permettono di essere amorevoli con gli uomini e con gli animali, con la Natura, con noi stesse.

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Le Muse coraggiose

E poi entriamo nell’orbita delle donne coraggiose che ci respirano dentro.
Se, per alcuni, i modelli di oggi -e non vorrei citare i Ferragnez ma lo devo fare- sono quelli che ti sviscerano la loro vita lussuosa, per altri -e condivideranno con me la scelta-, questo ruolo è affidato alle eroine di tutti i tempi.
Io in 15 Muse ne ho scelte tre indistruttibili.

Giovanna D’Arco

La prima in ordine di tempo è Giovanna d’Arco, in un ritratto di Dante Gabriel Rossetti in cui si rintraccia ancora uno spiraglio di femminilità, quell’attimo prima di sforbiciarsi i capelli, serrare le labbra, fasciarsi i seni sotto “l’armatura”.
Il suo sguardo colpisce, è ispirato da grandi visioni, e quella spada pesante con cui si autobattezza, si autobenedice, si autoprotegge ci da la spinta a osare, senza mai usarla.
La Pulzella d’Orleans ha trascinato i popoli di tutte le nazioni a volere la pace, a costruirla. Altro che influencer!
Lei ha trasformato il suoi grido in un’azione concreta, si è fatta uccidere per difendere gli ideali in cui credeva, e delle sue gesta coraggiose beneficiamo tutti. Chissà quanti like avrebbe avuto sul suo profilo social.

Lady Godiva

La seconda donna coraggiosa è Lady Godiva che con quel suo corpo nudo sfilò davanti alle imposte chiuse e disattese gli ordini e i costumi del tempo.
Il suo animo nobile ci legittima a farci portavoce di messaggi, combattere per questi, farli diventare manifesti di fede.
Mi piaceva, tra tutti, il dipinto di John Collier perché, già di suo, è poetico.
Non ferma il tempo, e lei scorre liquida come acqua, una pennellata di bellezza e fierezza, di bambina e donna, timida e indipendente nelle scelte.

Frida Khalo

La terza è Frida Khalo. E qui si potrebbero aprire trattati.
In lei possiamo “abbeverarci”, come fosse una fonte d’acqua ghiacciata. L’ esempio calzante per quando pensiamo di non farcela.
Studiamola, osserviamo i suoi quadri, sentiamo il suo rimbombo di voce nei meandri del tempo. Ce lo ha lasciato in custodia e ci affiorerà subito, tra le labbra, quando la vita andrà di traverso. Basterà ripetersi “non mi arrenderò mai”.
Ce lo ha dimostrato pur essendo stata inferma in un letto, pur essendo stata vittima dell’uomo che le regnava accanto.
Frida è stata e sarà per sempre una “donna infinitamente donna”.
Così termino la poesia che mi ha ispirato il suo quadro “Frida, il ritratto con collana di spine e colibri”.
Lei, come Chiara Ferragni, ha mercificato il suo volto, la sua immagine. Si ritraeva statica, per via dell’infermità, dentro vari contesti surreali. E quella staticità è stato l’elemento chiave del suo spirito battagliero, anticonformista e moderno. Una influenzer capace di infondere sentimento, carisma, originalità. E, capace di renderci più forti.
Il suo mito non ci danneggia, non ci inganna, anzi, ci racconta i suoi tormenti, che sono anche i nostri, è una di noi, con più talento.
Un talento che ha trasmesso alle masse con generosità, mettendoci nella posizione di voler vivere e sognare mondi semplici, fatti di grandi traguardi.

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Le Muse sensuali

La silloge di poesie “15 Muse” mi ha permesso di volare da un fiore all’altro e di trasformarmi in loro. Volto, pelle, sentimenti, si inseguono. Quindi non può mancare l’elemento che ci connota meglio: la sensualità.
E su quella gli uomini cadono come mosche. La sensualità ci morde la pelle, esplode come una carica esplosiva, incontenibile. Ce l’abbiamo tutte, nessuna esclusa. Ma cosa fa di noi delle persone sensuali?
Non la carne, non la bocca carnosa o i seni rigonfi. No. E’ l’approccio che ci rende sensuali, quindi la gentilezza con cui parliamo e facciamo l’amore, la sensibilità verso l’altro, gli abbracci intensi, carichi di intimità e che sappiamo donare senza risparmiarci.

La Maya Desnuda

Ho scelto la Maya Desnuda di Goya per celebrare tutto quello che siamo. Perché non siamo una cosa sola. Ma un cofanetto d’alabastro dentro cui custodire le pietre da far risplendere. Ma senza dimenticare l’ambivalente Maya Vestida.
Il nudo corpo di Maya, fatto di purezza, e poi quello vestito, adornato di velluti, Goya li dipinse nella stessa posizione,  quasi a voler “rubare” tutta l’essenza della musa.
Entrambe, ci trasferiscono la carica d’erotismo, la classe, il potere della donna, ma da soli non bastano: dietro quella pelle diafana scorgiamo grazia, non arroganza; complicità, non civetteria sessuale. Lo stesso dietro il vestito bianco che le scivola setoso sul corpo, il portamento non lascia dubbi sulla sua seducente disinvoltura.
Potremmo stupirci di cosa siamo fatte.

shot-marylin-di-warhol-quattro-volti-identici-di-marylin-monroe-in-cui-cambiano-i-colori-di-sfondo-capelli-bocca-ombretto-pelleShot Marylin: la Marilyn su fondo Salvia

E poi la divina Marylin Monroe.
Le serigrafie di Warhol hanno riacceso il fascino che ha sempre esercitato sugli uomini pur conservandone intatto il lato fanciullesco.
Cosa aveva MM di straordinario?
Oltre che essere aiutata dalle labbra voluttuose e dallo sguardo languido c’era nelle sue movenze un fare aggraziato, era morbida, farfalla, timida, sognatrice.
Della serigrafia “Shot Marylin” ho scelto quella su fondo salvia in cui la pelle della diva americana è rosa acceso, l’ombretto è azzurro antico, i capelli sono paglierini.
Warhol le tolse via tutti quei colori che l’avevano resa icona ma, lo stesso, la sensualità è ferma lì, come il suo neo.
Non scompare Marylin, anzi, resta viva e quella grazia umana che ci ha regalato, ancora intatta.

 

L’ultima, volutamente ultima, delle mie 15 Muse

Infine c’è una donna tra le mie 15 Muse che avrei potuto inserire tra le coraggiose e che facilmente avrebbe incarnato l’emancipazione con la E maiuscola.
Ma le ho volutamente dato un ruolo tutto suo: quello di musa vera. E non a caso con lei chiudo la silloge di poesie.

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Si tratta di Lydia Delectorskaya, ritratta da Henry Matisse.
Perché lei “È LA MUSA”?
Non viene abusata, non viene sfruttata, non c’è traccia in lei di sopraffazione, l’artista non la prevarica, e lei non ha una storia di violenza alle spalle, non è santa ma nemmeno profana… Ma allora chi è Lydia?
Lydia è una donna che fa breccia nel cuore di Matisse, semplicemente standogli accanto.
La segretaria, la confidente, l’amica, la tuttofare, la casalinga, colei che gli gestisce la casa, gli affari, le modelli, colei che gli ispira le pennellate artistiche.
Il suo ruolo cresce nel tempo e la ritroviamo confidente di Matisse. Il loro reciproco volersi bene, pure, si rafforza negli anni.
Ma tra loro sboccia solo un amore platonico, destinato a durare per sempre, e che ridefinisce i confini tra artista e musa, tra uomo e donna, tra datore di lavoro e dipendente.
Lydia ci insegna a diventare uomini, è quella classica donna che c’è dietro un uomo di successo.
Ma non è la sua ombra, lei è ciò che oggi definiremmo “un’imprenditrice cazzuta”.
Una musa che l’artista compone come fosse il risultato finale di tanti pezzi di un puzzle messi insieme.
Forse, Matisse aveva capito quante geometrie abbiamo dentro, quante gemme, semi, radici, custodiamo, e li ha dipinti.
Lei è più nuda di un nudo.

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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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