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Grandi migrazioni disegnano il cielo: sai perché?

Disegni nel cielo, danze, gli storni ci lasciano assistere a una magia, voli misteriosi a cui ognuno di noi da una risposta

di Emanuela Gizzi
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Istinto di solidarietà tra storni?

Le migrazioni disegnano il cielo di macchie, forme geometriche, finanche a formare una barriera alare. Studi portati avanti da diverse Università avevano ipotizzato che quel loro “starsene in gruppo”, compatti, fosse determinato da una precisa regola di protezione dell’altro. Un modo per non lasciare indietro nessuno. Così uniti, sembra, riescano ad affrontare attacchi di falchi o di altri predatori. Ma è davvero questo il motivo delle coreografie a cui assistiamo ogni anno durante l’autunno?

Una danza che dura 45 minuti

Quest’anno dei veri capolavori di stile hanno selvaggiamente ed elegantemente preso possesso dell’aria sopra le nostre teste: grumi di uccelli che si muovevano all’unisono come spostati da una calamita.
Non si toccano, non si scontrano, c’è una perfezione nel loro volo che lascia stupiti, un magnetismo sinergico, melodico e leggero. Un equilibrio di forze a cui in molti hanno tentato di dare una spiegazione.
Gli uccelli, anzi, gli storni sono capaci di volare anche per cento ore e danzare per anche 45 minuti. E, allora, ci si domanda: perché sperperano le loro energie pur avendo davanti dei viaggi tanto lunghi e pieni di insidie?

Gli storni ballerini che non ce la fanno

Le migrazioni disegnano il cielo, lo armonizzano col loro movimento morbido, lo inondano lasciandoci col mento in su a desiderare di raggiungerli, librarci con loro, guardare a un orizzonte immenso, infinito.
Molti non raggiungeranno la destinazione, sappiamo che le rotte sono infestate di pericoli, la maggior parte provocati dagli uomini, dalle nostre costruzioni, dai vetri dei palazzi, dai tralicci, e soprattutto dai maledetti cacciatori che si appostano per fare bottino. Che orrore. Il pensiero che quei ballerini cadano morti a terra mi fa salire il fegato in gola. Le ali spezzate, il petto che non pulsa più. Il loro volo fermato dalla nostra disumanità.

Le migrazioni disegnano il cielo e la Terra applaude

Il giorno di San Martino mi era capitato di assistere a un qualcosa mai visto sopra i tetti di Formello e, oltre alla sincronicità, ciò che mi aveva colpito era stato il suono, quella vibrazione che fa tremare la pelle. La chiamano “mormorio” ma io la chiamo poesia. Così come quando riempiono gli alberi del loro chiacchiericcio impazzito, sembra di assistere a un evento della Terra. Un grande congresso di storni.
Si chiamano a raccolta, volano insieme, si fanno gli affari loro, piovono cacca come se non ci fosse un domani eppure, per quei minuti di eternità, io metto tutto da parte perché il loro evento diventa anche il mio evento. Mi catturano. Penso, onestamente, siano i più bravi pubblicitari di tutti i tempi. Il loro manifesto lo scrivono in cielo, sono artefici della loro storia e il loro messaggio non lo sussurrano, lo gridano.

Uno sciame di storni davvero emozionante

Proprio qualche giorno fa, mentre tornavo da un’escursione a Olevano Romano, il paese di mio nonno Mario -ero con mia madre e la nostra amica Daniela- siamo rimaste completamente travolte da uno di quegli sciami che non si dimenticano.
Ho accostato sul ciglio della strada per filmarli. Dapprima erano in lontananza, poetizzavano il paesaggio e fluttuavano come se un maestro di musica li stesse dirigendo. Poi, spettacolo, sono venuti verso di noi.
Ti lascio assistere a quel momento.
Qui di seguito il breve video di uno sciame. Pazzesco quello che riescono a fare.

Gli storni seguono davvero la regola del “vicino”?

Sono infestanti, nocivi per gli altri uccelli, sparecchiano i campi coltivati, si impossessano di alberi mastodontici e fanno una confusione senza considerarci affatto. Poi se ne vanno, ma quel che resta di loro non è questo. Quello che rimane impresso è il loro volo.
Anche perché uno sciame può contare anche fino a 750 mila storni, il che ci fa spalancare la bocca. Gli ornitologi non hanno dato una risposta al perché, e soprattutto al come, riescano a cooordinarsi, ma c’è un meccanismo chiamato scale-free behavioral correlation, che sembrerebbe essere, nello specifico, quello più pertinente. Cioè, ogni singolo storno forma una “famiglia” mentre vola e, relazionandosi con i suoi sette “colleghi” più vicini, creerebbe un sincronismo con loro che va a ripercuotersi sugli altri, a catena. Il vantaggio degli storni è che hanno un campo visivo laterale che raggiunge quasi i 360° di visibilità complessiva. Inoltre seguono la regola principale: andare dietro ai capofila.

Ma invece non si radunano per combattere il freddo?

Un elemento che potrebbe spiegare perché le migrazioni disegnano il cielo invece di riposarsi è la loro predisposizione naturale a difendersi anche dal freddo. Cioè, gli uccelli tendono a fare gruppo per tenersi al caldo. E stando tutti insieme creano una sorta di coperta termica che gli permette di affrontare autunni o notti più rigide. Quindi le loro esibizioni sarebbero solo un modo per attirare quanti più uccelli possibili.

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Per me le migrazioni disegnano il cielo come saluto

Alla fine vogliamo per forza sapere perché gli storni quando migrano danzano ma non è detto ci sia una spiegazione o, se c’è, magari dobbiamo cercarla in altri mondi.
Io sono una di quelle che crede nella spiritualità della Natura e che questa sia in grado di far accadere fatti inspiegabili. E sono anche tra quelli che amano pensare si tratti di anime scomparse da poco, d’altronde gli uccelli sono considerati i mediatori tra Terra e Cielo, simboli di buona fortuna.
Mi piace pensare che il loro sia un saluto più che un volersi scaldare tra loro o un difendersi dai falchi. Un saluto prima di andare.
E allora ciao papà. buon viaggio verso il Paradiso.

Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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