Home IL CREMERATrekking con gli Etruschi La Torraccia del Bosco o torre semaforica

La Torraccia del Bosco o torre semaforica

di Emanuela Gizzi
La Torraccia del Bosco Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

La Torraccia del Bosco è una delle esplorazioni più complicate, non tanto per l’accessibilità dalla Cassia o dal Fosso, quanto per l’intricato gioco di rovi

L’anfiteatro abbandonato

La Torraccia del Bosco è uno dei siti nel verde, vicinissimo al Crèmera, che mi ha stupita maggiormente.

Entrarvi non è semplice. Dalla parte della Cassia Bis l’accesso sarebbe vietato, si entra indirettamente in una proprietà altrui, forse un ex maneggio; dalla parte del Parco di Veio si sale lungo il Fosso della Torraccia, anche questo impervio, ma ricco di sorprese.

Entro dal lato strada e cammino per un po’ in mezzo al silenzio, nonostante il passaggio intermittente delle macchine -di sottofondo- sia poco distante.

È un luogo collinare, vuoto di vita,  di qua e di là sedie e casupole abbandonate, dei percorsi a ostacoli divelti, una serie di oggetti rimasti fermi nel tempo. La vita, dunque, c’era ma oggi ha un’aria persa, come dopo un terremoto.

Mi ha davvero scossa. La valle piomba irruenta sul sottostante Fosso, lasciando libero il panorama di spaziare a 360°, una di quelle circostanze in cui lo sguardo si quieta e ci si può sedere facendo finta di stare in un anfiteatro patagonico.

Il cielo è altrettanto immenso, sembra di essere lì a un passo dal toccarlo, il verde è ben distribuito e, di tanto in tanto, è interrotto da macchie di rosso, come nuvole terrestri, e da campi -a pois- di margherite.

Effetto ottico

Non vedo la Torraccia del Bosco se non quando inizio a scendere il dorso verso la sella montuosa della Valle del Baccano, poco più a ovest di dove mi trovo.

Questa fortificazione medioevale ha una particolarità: si confonde con il paesaggio, non la si nota subito, ha la stessa incredibile potenzialità di un animale che sa mimetizzarsi. Ma c’è un perché. Nonostante sia più fiabesco credere che la torre appaia e scompaia a suo piacimento, la verità sta nel vestito che indossa.

Interno della Torraccia del Bosco Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Avvicinandomi capisco subito che sono appena passati dei cinghiali, le tracce sono freschissime e non sono solo due sparuti cinghialetti, bensì un’intera famiglia o un branco.

Mi infilo tra i primi cespugli che ostruiscono il passaggio, poi mi districo in mezzo ai tralci aggrovigliati fino a sentirmi impigliata nelle gambe, nelle spalle, trattenuta ovunque da forze naturali. Mi sento graffiata e solleticata.

Mi sento Indiana Jones in un pezzetto di terra nostrana, sottovalutata. Quel faticare e quello studiare i passaggi possibili mi incuriosisce, mi fa mordere i metri che restano.

Sono come un muro i rovi, si ripetono tutt’intorno. Le pareti sono in evidente stato di abbandono e, nell’insieme, appare inesplorata da un po’ di tempo. Non saprei dire quanto. Sguscio dentro assottigliandomi il più possibile, mi arrampico nell’ultimo tratto di pendenza e infine sono proprio abbracciata alla base di questa altissima costruzione in pietra.

Salgono da terra, quasi volessero trascinare -la Torre- negli inferi, delle radici rampicanti che la vestono quasi completamente, nascondendola alla vista.

E c’è un piccolissimo ingresso che permette di accedere all’interno. Una volta dentro guardo su e vedo un quadrato di cielo. Ha un’espressione artistica questo luogo, le radici nude e la roccia sono intrecciate indissolubilmente, un corpo ambiguo, una scultura deformata, una macchina del tempo.

Proprietà private intorno alla Torraccia Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Eventi legati alla Torraccia del Bosco

Nel XII secolo era, ciò che si definiva, una torre semaforica, ovvero un avamposto di osservazione militare, che faceva da sponda tra il Castello del Sorbo sullo sperone tufaceo, a est, e la Torre di Stracciacappe sul versante vulcanico sabatino, a ovest.

In mezzo c’erano l’antico cratere di Baccano e il Lago Paparano e dei Curtabraca. Assolutamente un tuffo in un’epoca lontana.

È passato qui il tornado del 2016 che ha tagliato perpendicolarmente la Valle del Sorbo, toccando il Santuario della Madonna del Sorbo e la Valle dell’Inferno ma, la sua imperante aggressione, non ha piegato la Torraccia del Bosco, anche se le ha tirato via un po’ della sua altezza.

Si può tornare sulla strada da un passaggio più basso rispetto all’ingresso ma c’è un cancello. Mi assiste qualche angelo custode perché incontro un pastore, da lontano ha un fascino intramontabile, se ne sta dritto come un guardiano.

Il gregge che si porta dietro ha un belato melodioso accompagnato dai campanelli appesi al collo. Mi fermo a osservare il quadro, poi sventolo in aria la mano, pur sapendo di essere in una proprietà privata.

Lui non fa una piega. Ha una sua intima personalità, uno sguardo sulle mie scarpe e uno sulle pecore. Mi indica il cancello e mi dice che posso passare di li. Lo saluto e gli scatto una fotografia, era troppo interessante.


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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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