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Il Barrio Gotico: il seme di Barcellona

di Emanuela Gizzi
Barcellona Carrer del Bisbe PhotoCredit Gerardo Almeida wikimedia commons

Il Barrio Gotico è luogo del cuore di Eleonora che nel raccontarmi alcune sue emozioni davanti ai luoghi ha fatto nascere in me la voglia di andare più a fondo

Il folklore di una città viva

Barcellona è incredibile ovunque si vada ma il Barrio Gótico ha un’atmosfera speciale. Si possono notare tante cose, tipo l’accento sinistro che hanno le viuzze oppure la marcata ridondanza storica che si respira tra un palazzo e l’altro. Eppure la prima nota di folklore che si nota sono gli slogan scritti su bandane -penzoloni ai balconcini- una sorta di passione rivoluzionaria di un popolo che è sempre in movimento, dice la sua. Sventola i diritti.

Ecco, principalmente, questa attività sociale mi ha colpita, e non è nascosta dentro qualche locale segreto, non se ne parla tra le mura domestiche, è in strada, tangibile, sotto gli occhi di chiunque passi, dei cittadini e dei turisti.

Barcellona complessivamente ha un’apertura mentale che altri paesi non arriveranno mai ad avere e, nel Barrio Gótico, sembra aleggiare sotto il sole, priva di qualsiasi tipo di ombra.

I simboli del Barrio Gotico

Il carattere non manca certo a questo piccolo quartiere che è un fulcro politico ma anche il custode di un importante pezzo di storia. Plaça Sant Jaume, ad esempio, la noti subito, è la parte istituzionale della città. Nella Casa della Città e nel Palazzo della Generalitat si discute il futuro della metropoli e anche della regione Catalana. E’ un luogo aperto, sembra pedonale ma non lo è, passano solo poche macchine e quindi si gode di una sensazione di privilegio.

Di fianco corre Carrer del Bisbe, uno scorcio ribattezzato gotico  per via del Ponte del Vescovo, ma, attenzione a passarci sotto. Sembra, infatti, che l’architetto che seguì i lavori, Joan Rubiò i Bellver, vi inserì al suo interno un pugnale con un teschio e maledì il luogo, per vendicarsi della mancata committenza di un più ambizioso progetto goticheggiante.

Bastano pochi passi e l’arte medievale mi avvolge come se improvvisamente fossi entrata in uno scrigno. È Plaça del Rei che fa questo effetto: la facciata del Palazzo Reale, la splendida scalinata ad angolo e il Palazzo del Lloctinent -che racchiude come tanti altri palazzi un cortile stupendo- sono tutti elementi architettonici che descrivono prepotentemente che lì, in quel luogo, qualcosa di diverso, c’è.

Elementi dal passato

E il mistero si svela presto, basta rendersi conto che si sta camminando su un sotterraneo, il famoso Barcino. Si scende di qualche metro sotto terra per recuperare “il seme urbano” di Barcellona, il luogo -cioè- da cui tutto è nato. Laddove i romani avevano stabilito il Foro, quindi l’economia di Barcellona, e il centro dei commerci; laddove la vita dei primi barcellonesi iniziò a scorrere.

In questo piccolo quadrato medievale si può trovare qualche risposta nel Museo MUHBA che raccoglie i resti della prima muraglia, della strada originaria, delle botteghe degli artigiani, e rivisita -attraverso gli strumenti multimediali– gli accadimenti della Barcellona più antica.

Un’altra grande suggestione di Plaça del Rei è una colonna che, fino al 1956, si ergeva al proprio al centro. Questa poi è diventata la Quarta di un complesso conosciuto come Le Colonne di Augusto, opera dell’architetto modernista Josep Puig i Cadafalch, che si trova in Strada del Paradiso, e è sotto la custodia dello stesso MUHBA.

Sono colonne scanalate che svettano nove metri ed entrano in contrasto con il palazzo intorno che le rende prigioniere, nascoste al pubblico. Fa impressione stare di fronte a un’opera che ha duemila anni di storia, nient’altro potrebbe competere. Tutto il resto del tempio fu smembrato e destinato alla costruzione di altri palazzi, un’usanza che permetteva di ampliare la pianta urbanistica della città a costi ridottissimi.

Barcellona Gorgoyle PhotoCredit Turol Jones Wikimedia commons

Barcellona Gorgoyle PhotoCredit Turol Jones Wikimedia commons

I gorgoyle

Di fronte sorge la Cattedrale della Santa Creu e Sant’Eulalia, anche questa nasconde una chicca, un giardino con una vegetazione di palme, aranceti e magnolie che fanno ombra a 13 oche, un numero che non sale e non decresce mai perché rappresentano gli anni di vita di Sant’Eulalia e anche i martìri subiti. Oltre al chiostro mi sono piaciuti tantissimo i Gargoyle che si trovano nella terrazza della Cattedrale, sono solo i bocchettoni da cui escono le acque piovane, ma gli artisti del tempo li resero delle vere e proprie sculture. Dei mostri che avrebbero dovuto fungere da elemento di difesa e anche di avvertimento contro gli spiriti maligni.

I  Gargoyle più famosi sono quelli di Notre Dame de Paris e, a pensarci adesso, il loro potere non ha funzionato contro l’incendio accorso l’anno scorso, o forse si visto che la facciata è rimasta in piedi.

Più si gira nel quartiere più si trovano dei grossi contrasti. Un caso tra tanti, due piazze che mi hanno fatto battere il cuore.

Le Piazze e gli spifferi di Zafon

Plaça de Catalunya, gigantesca, favolosa, con le statue di donne che si innalzano tra i getti d’acqua, una rosa dei venti, un centro gravitazionale, il marciapiede con la pietra rossa che da inizio alla Modernisme Route (l’itinerario che tocca la Barcellona di Antoni Gaudì, Domènech i Montaner e Puig i Cadafalch).

E Plaça de Sant Felip Neri che è l’opposto.  Un luogo raccolto, spesso silenzioso e legato a doppio nodo all’episodio bellico del 30 gennaio 1938, quando un civil-bombing ordinato da Benito Mussolini lo distrusse, contando 42 morti, tra cui molti erano bambini rifugiatisi nel seminterrato della Chiesa.

… uno spiraglio di luce nel dedalo di viuzze del Barrio Gótico, dove ancora oggi i colpi di mitragliatrice, risalenti all’epoca della guerra civile, sfregiano le pareti della chiesa”

Questo passaggio si trova ne L’Ombra del Vento, il libro di Carlos Ruiz Zafon, e credo tracci con estrema onestà quel valore intrinseco che si avverte camminandoci dentro.

Il Brrio Gotico tra artificio e misteri

Il Barrio Gótico è custodito tra due arterie che tagliano la città verticalmente.

Una delle due è la famosissima, Las Ramblas che ha poco di autentico, troppo commercializzata per non dire sopravvalutata. L’altra è la Via Laietana che è dei primi del novecento, una specie di carrarmato passato sopra a 2.199 abitazioni preesistenti, tra cui degli importanti palazzi medievali. Solo uno si salvò dalla demolizione e venne ricostruito pietra per pietra in Plaça del Rei, la Casa Padellàs, ovvero, indovinate un po’, l’edificio che ospita il MUHBA.

Tutto si interseca, tutto prende luce, come scrive Zafon, o cattura le ombre, tutto in questo quartiere ha una doppia anima, una tessitura fitta, arcana e poi si arriva in Placa Reial e le atmosfere cupe si dipanano. O almeno sembra. Questo è un punto d’incontro del mondo. Sotto le palme, seduti sul bordo della Fontana delle Tre Grazie o sotto i portici, o dentro un locale ad ascoltare le musiche catalane, uno snodo nevralgico pensato per l’aristocrazia e finito col diventare del popolo.

Eppure, anche questa piazza, se si scava a fondo svela dell’altro: ad esempio che, un tempo, quello che oggi è fruibile a tutti, cioè questo spazio aperto e viavai cittadino, era in realtà un teatro e -prima ancora- un convento.

Barcellona Els Quatre Gats PhotoCredit Wikipedia

Barcellona Els Quatre Gats PhotoCredit Wikipedia

Els Quatre Gats

Storie, tante storie. Come quella della Casa Martì, un’opera modernista di Cadafalch, che all’apparenza può sembrare solo un palazzo stiloso con grandi finestroni ad ogiva, vetrate colorate, ornamenti e sculture predominanti, insomma un edificio eccentrico. Ma è molto di più. Al piano terra infatti si apre Els Quatre Gats, che ha reso questo posto un luogo di culto profano. Definito da sempre la porta d’ingresso di tutti i nuovi stili artistici provenienti dall’Europa si presenta come un cafè-ristorante ma fu il salotto più in voga tra artisti come Picasso. Fino al 1936, ospitò anche il Circolo di San Lluc, il gruppo modernista che si ispirava ai fomenti dell’epoca. Con la guerra civile le luci si spensero ma non per sempre. Negli anni settanta tre gastronomi decisero di investire sul locale e, nel riaprirlo, ne riscrissero la storia restituendogli la memoria e rilanciandolo di nuovo nella quotidianità metropolitana. È talmente pieno di ricordi da sembrare un piccolo museo.

Il Porto chiude il Barrio Gotico

Poi si scivola verso il Porto di Barcellona. Tutto sembra finire qui ma in realtà parte da qui. Questa vicinanza del mare con il centro urbano rende unica Barcellona. Il Barrio Gótico termina la sua corsa di fronte al Maremagnum, un centro commerciale estremamente stuzzicante, al di là della Darsena Nazionale. Sembra un’altro quartiere, un’altra città: una passerella in legno, le vetrate che riflettono l’acqua, l’ostentato relax di chi prende un succo o un gelato guardando alle imbarcazioni che attraccano o ripartono.

Lo stesso deve aver pensato l’artista Lautaro Díaz Silva quando ha creato l’istallazione in ferro battuto, La Parella,  cioè -la coppia- perché ha raffigurato due persone, sedute di fronte al mare, le gambe a penzoloni, mentre il loro sguardo si perde lontano. Chissà dicendosi quali segreti o confessioni.

Un occhio non può che andare in direzione della Statua di Cristoforo Colombo, che indica -anche questa- verso il mare. O verso Genova? Come sostengono in molti. È un mirador, cioè un belvedere. Si sale con un ascensore fino alla terrazza e da lassù si gode di tutta la vista possibile.

Una storia di nonne famose

Ho una cosa finale da suggerirvi, si tratta di un luogo che si trova nella Barceloneta, chiamata La Cova Fumada. Si tratta di un ristorante, ma non uno qualunque. Invece di andare verso la Statua di Colombo camminate in direzione opposta, per un chilometro.

È l’ultima Puda rimasta, cioè l’ultimo bar appartenente a un barcaiolo. Uno di quei posti in cui il pescato del giorno veniva raccolto e subito cucinato dalle mogli dei barcaioli che lo rivendevano fresco. C’era la fila allora come oggi.

Mi ha colpito che il piatto tipico, la Bomba -una crocchetta di patate e carne macinata, coperta da due salse particolari- che ha fatto la fortuna di questo posto, è una tapas, inventata negli anni trenta dalla nonna degli attuali proprietari, la signora Maria Pia, un tempo una delle cuciniere de La Cova Fumada. Assaggiare per credere.


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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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