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Borgo Sant’Antonio e l’ArteStudio di Sonia Martelloni

di Emanuela Gizzi
FierArte Ciao Primavera Ali Chicche e Cielo Spannitore, borgo sant'Antonio Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia (9)

Borgo Sant’Antonio nei ricordi di Sonia Martelloni era un luogo magico, pieno di botteghe, di vita, un salotto all’aperto in cui lei ha trovato la sua libertà

Il Borgo Sant’Antonio, a destra della Piazza Donato Palmieri, a Formello, e l’ArteStudio San Sebastiano si incontrano improvvisamente, e quell’antica magia di un tempo torna a diffondersi, riportando alle antiche tradizioni.

Un centro storico fuori dal centro storico

Il Borgo Sant’Antonio, comunemente chiamato O’ Spannitore è l’altro centro storico di Formello. Sì, esatto, possiamo considerarlo tale, anche se, fuori dalle mura storiche.
Immediatamente dirimpettaio alle mura di Palazzo Chigi, si inerpica su quella che un tempo era la collina dove le donne andavano, appunto, a stendere i panni. Da qui “Spannitore”.
Dal Lavatoio, che si trova poco sotto le mura del Palazzo, le donne salivano fino in cima -le bagnarole sopra la testa- e cantavano. Ognuna aveva il suo filo per appendere i panni, e, un po’ cantando, un po’ chiacchierando, rinfrescavano l’aria di quell’odore pulito di bucato.
Ma, ancora prima, il borgo ha ospitato -fino a fine 800– il silenzioso cimitero di Formello, conosciuto come I Croci.

Il Borgo Sant’Antonio e i suoi abitanti

Dunque un luogo sacro e profano insieme. E l’arte? Quando arriva l’arte?

Sonia Martelloni ha aperto tre anni fa l’ArteStudio San Sebastiano proprio in questo piccolo quartiere arroccato.
Con lei ho ripercorso un po’ alcune storie, memorie che appartengono a chi ormai non c’è più. A sua nonna e suo nonno, a sua madre, e a quei compaesani che hanno vissuto in questo piccolo quartiere intorno alla fine degli anni 50.
Questo luogo non è solo una collina o un pezzo di Formello, piuttosto è un luogo d’arte che ha ispirato e continua a ispirare molti artisti.
Un mondo in miniatura con alcune botteghe di artigiani che servivano l’intero paese.

Scalinata che sale allo Spannitore Archivio personale di Maria Valentina Gargioli

Scalinata che sale allo Spannitore – Archivio personale di Maria Valentina Gargioli

La bottega della Sora Iole

C’era il negozietto della Sora Iole, che vendeva gli scampoli di stoffe, i calzini, i cappelli, le sciarpe, la biancheria intima. La Sora Iole aveva un bancone bellissimo, ondulato e consumato, e un metro gigantesco di legno.  E girava le stoffe sotto quel metro come se fossero pizze. Era bravissima. E vendeva solo scampoli scuri: neri a pois bianchi, blu con i fiorellini bianchi, verde scuro e nero.

La Bottega del Calzolaio e l’Osteria della Sora Amalia

Poco più in là c’era la bottega del calzolaio, era del papà di Amerigo Curci, ed era l’attività più vecchia. Poi c’era un negozietto di alimentari in cima alle scale di Borgo Sant’Antonio che apparteneva alla mamma di Gino Polidori, sotto invece c’era la latteria e, proprio davanti all’ArteStudio di Sonia, la piazzola era sempre piena di gente perché l’Osteria della sora Amalia intratteneva i bevitori e i giocatori di briscola.

Le poesie erotiche

Ogni giorno, c’era seduto tra loro il Compare Tullio che si alzava in piedi e recitava -a seconda di tutti- delle poesie erotiche.
Erano talmente tanto erotiche che durante le feste di matrimonio o altre cerimonie queste poesie facevano diventare rosse rosse le guance di tutte le donne, che ridevano e si coprivano il viso per la vergogna. Sonia ricorda la storiella di un ragazzo che, andato al fiume a fare il bagno, venne sorpreso da un gruppo di ragazzette. Allora intimidito, prese un asciugamano e se lo mise davanti per coprire la mascolinità ma “na’ boja vespa je pizzicò la mano e a terra je cascò l’asciugamano, allora lo miracolo vedette: lo pajettone appeso rimanette!”.
Insomma poesie molto erotiche.

Vi ricordate Ghirlanda?

Infine c’era la mamma di Vinicio, lei era sarta, e tutte andavano a farsi fare gli orli da lei, o a farsi cucire i vestiti con le stoffe acquistate dalla Sora Iole.
Allo Spannitore vivevano anche i nonni di Vinicio. Il nonno, il famoso Ghirlanda che Sonia ha immortalato nella commedia “La riforta de’ la mola”, era davvero un personaggio!
Si sedeva sulle scale, o in qualche angolino del Borgo Sant’Antonio, e metteva a spurgare in un secchio le lumache che aveva raccolto. Oppure, quando non erano le lumache, lo si trovava a spellare quelle ranocchie che sono state citate nella commedia.

Il Borgo Sant’Antonio e la merenda

I ragazzini gli giravano intorno incuriositi dalla bava che facevano le lumache, poi esaurito l’interesse giocavano a rincorrersi sulla scalinata, fino a quando non venivano richiamati dalla merenda. Qui si apparecchiava in strada, le nonne preparavano pane, ricotta e zucchero, oppure pane e miele, o pane e fichi. Tutti mangiavano insieme. Anche a Natale. Si facevano delle tavolate da fare invidia ai ricchi.

Era un salotto a cielo aperto, pieno di magia, di elettricità.

L’infanzia di Sonia Martelloni

Sonia arrivò qui da piccolina, lei abitava a Roma, ma con la famiglia veniva a trovare la nonna Velia e il nonno Nazzareno.
Le piaceva correre scalza, fare amicizia con tutti gli altri ragazzini, inzuppare le fette di pane -nel sugo preparato da sua nonna- e fare colazione con l’uovo sbattuto.
La Sora Nanda -sua madre- le metteva una gonnellina arricciata, gli stivali limpidi di biacca e le faceva due ciucci tirati su, stretti-stretti, con due nastri sempre disuguali. Sua nonna Velia quando la vedeva con quei fiocchi, rimproverava la Sora Nanda di mandarla in giro trasandata.

Borgo Sant'Antonio Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Foto della Famiglia di Sonia

Quel grande camino, quella grande famiglia

Sonia si divertiva a Formello, si inzaccherava, sentiva la libertà correrle sotto i piedi.
Casa della nonna stava proprio di fronte a dove adesso c’è l’ArteStudio: è la casa in cui oggi abita Rosalba. Una casa che le sembrava grandissima, dove ci stavano in nove e dove l’inverno suo nonno accendeva il grande camino a parete.
Lei e i cuginetti si litigavano le nicchie dentro il camino, più per gioco che per avere la meglio, e allora il nonno per farli stare tutti caldi metteva davanti al camino due panche lunghe e lì in mezzo, con una pala bella grossa, stendeva la brace che tirava via da sotto i tizzoni.
Si scaldavano tutti insieme, mangiavano uno di fianco all’altro su un tavolo quadrato che si allargava e allungava, bevevano dallo stesso ramaiolo o, come lo chiamavano, lo sgommarello. Questo utensile è stato sempre il simbolo della famiglia di Sonia.
E poi dormivano tutti lì, in quella sala: tra un letto e l’altro c’erano appese semplicemente delle lenzuola.

Favole nel Borgo Sant’Antonio e il Natale

In questa atmosfera conviviale non mancavano le favole.
Lo zio Ezio ne raccontava tantissime, soprattutto quelle sui guerrieri romani. Ma la sua preferita era quella natalizia quando si inventava che, andando a Magliano a prendere le galline, incontrava la Befana.
“Poretta” diceva “era proprio stanca” e i ragazzini sgranavano gli occhi e, quasi in coro, gli gridavano “gli hai detto di me, gli hai detto di me, gli hai detto di me?”.
Lui tirava su le spalle e rispondeva “Eh, l’ho aiutata a portare i regali ma poi subito dopo era lontana lontana”.

Le letterine per Nonno Arduino

Il periodo di Natale per i bambini era teneramente magico. La Sora Velia faceva l’albero con l’alloro e, all’inizio -o almeno fino a quando la Sora Iole non portò le palline da appendere-, ci metteva i mandarini. C’era questo profumo di mandarini che si diffondeva per i vicoli.
E poi a tavola, Sonia e i cuginetti, mettevano sotto il piatto del nonno una letterina ciascuno. Il piatto dondolava per quanto era gonfio. Sor Nazzareno si sedeva a capotavola, impettito nel suo abito buono, e alla vista delle letterine si cominciava a tastare il taschino del gilet.
“Un soldo a te, uno a te, un altro a te…” e così via li faceva contenti tutti.
Era una festa!

Quando non era il turno dello zio, era la nonna Velia che raccontava loro le favole e, per farli divertire, ogni tanto ripeteva:

Lampina d’oro, stoppino d’argento dimmi se il figlio del re dorme o sta sveglio?”

Tutti chiudevano gli occhi e facevano finta di dormire, ma sotto sotto ridevano. E anche alla Sora Velia, che pure faceva finta di essere seria, le scappava un sorrisetto mesto.
La nonna di Sonia era bravissima a fare le “ciammelle” e il pane profumato. Li cuoceva nel forno del paese, erano buonissimi, avevano l’odore di un’altra epoca.

Sonia Martelloni da piccola Foto di Sonia Martelloni

Sonia da piccola – Foto di Sonia Martelloni

Il misterioso “intrattenimento”

La Sora Velia era anche molto creativa. Sapendo quanto sua nipote fosse indomita e spavalda, per tenerla sotto controllo, le diceva “Vai dalla Sora Iole e fatti dare un etto di intrattenimento”.
Sonia partiva con la gonna riccia, i ciucci tirati e un secchietto, che la nonna le metteva in mano per riempirlo di questo intrattenimento.
Al negozio della Sora Iole le donne le passavano tutte davanti. Un ora, due ore, tre ore. Lei si metteva lì sbuffando, e passava il tempo a veder entrare e uscire le persone dal negozio. Le squadrava bene tutte: erano vecchie, anche se non lo erano davvero. Ma avevano i capelli bianchi già a quarant’anni, e li portavano raccolti in certe crocchie rimpinzate di forcine. E poi non indossavano il reggiseno, era la cinta degli zinaloni a sostenere quei seni enormi. Nelle tascone giganti degli zinali a volte si vedevano spuntare perfino i legnetti per accendere il camino. Le donne di una volta erano fatte di un’altra pasta.

Lo show finale

Sonia si perdeva nell’osservarle però dopo un po’, stufa di questo viavai, saliva sulla sedioletta, le mani sui fianchi, e alterata diceva:

A’ Sora Iole? Ma sto etto di intrattenimento quando me lo dai? Ha detto nonna che ti devi sbrigare!”

E quella con calma le rispondeva: “Sì, sì, Sonia, l’intrattenimento si sta facendo. Si sta facendo. Che vuoi che te lo do cattivo? E chi la sente la Sora Velia… no, no, te lo do più buono di tutti gli altri… l’intrattenimento”
Arrivavano così a ora di chiusura e, con chi si trovava presente la Sora Iole, metteva su uno spettacolino. Faceva salire Sonia sul bancone ondulato e la faceva cantare, ballare, le faceva dire perfino le parolacce. E lei che non vedeva l’ora di dirle, le metteva in fila una dietro l’altra a suon di cantilena. Alla fine la Sora Iole le ficcava una cavolata nel secchietto e la rimandava a casa con il famoso “intrattenimento”.

Borgo Sant'Antonio Foto dell'Archivio personale di Maria Valentina Gargioli

Salita di Via Magliano Foto dell’Archivio personale di Maria Valentina Gargioli

Nel Borgo Sant’Antonio: Via Magliano e lo banno

Da in cima alla via di Magliano, che taglia in due il Borgo, l’eco della voce di Belardo rimandava alle notizie del giorno. All’epoca Belardo era incaricato di ritirare l’immondizia. Passava col carretto e il somaro e si portava via i rifiuti del paese.
Però era anche “il giornalista”. O meglio, come si soleva dire buttava lo banno, cioè lanciava il bando. Arrivava fino a casa di Egea, lì c’era una specie di terrazza, e gridava, accompagnandosi con un tamburello, le notizie pubbliche.
“Attenziò” tururutttutù “oggi a Formello passino li preti a benedì casa” turuttutttù.
E così via dicendo, intonava una dietro l’altra le informazioni da dare ai compaesani.

Borgo Sant'Antonio O' Spannitore quadro con le terre dei Chigi, con la terza Chiesa di Formello San Sebastiano Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Quadro delle Terre dei Chigi con i tre campanili

La Chiesa di San Sebastiano e il campanile silente

Lo Studio d’Arte di Sonia prende il nome dalla Via San Sebastiano che a sua volta prende il nome da un’antica chiesa che oggi non c’è più. Era la terza chiesa di Formello e quindi formava la terza contrada. Si trovava dove oggi sorge il B&B la Meridiana, in asse con le atre due chiese, San Lorenzo e San Michele Arcangelo.
Si ha traccia della sua posizione grazie a un dipinto del pittore Michelangelo Pace esposto nel Palazzo Chigi di Ariccia.
Questa tela gli era stata commissionata per arredare Villa Versaglia e quindi include scene di caccia con la veduta delle terre dei Chigi.

Borgo Sant'Antonio O' Spannitore Campanile di Formello Chiesa San Sebastiano Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Il campanile della Chiesa di San Sebastiano

Il campanile della Chiesa di San Sebastiano, con impressa l’effige del Santo, si trova ancora su un terrazzino del palazzo del Comune. In passato è servito per richiamare i bambini a scuola, poi ha smesso di suonare ed è rimasto lassù in silenzio. Ci si accede per una porta “semisegreta”.

Grazie a Maurizio Rapagnani

Di questa piccola scoperta del campanile mi preme ringraziare Maurizio Rapagnani, archivista del Comune di Formello, che mi ha raccontato la storia della Chiesa e fatta salire nella terrazzina dove il campanile è conservato.
Gli voglio dedicare questo post, davvero un piccolo omaggio, per dire che ci manca molto e che purtroppo tanta memoria storica se n’è andata via con lui. Con dispiacere.

Nel Borgo Sant’Antonio la casa della Sora Clara

E quindi arriviamo all’ArteStudio San Sebastiano.
Sonia, con suo marito Francesco, un giorno passano davanti a quella che era una cantina. Franco immagina un posto per stipare la legna e lo dice a Sonia. Sonia dopo qualche giorno sbircia dal finestrone laterale per vedere dentro come è messa e, nonostante l’irriconoscibilità del luogo, lo sporco, l’immondizia e la dimenticanza, ci rivede la casa della Sora Clara. Era un’amica della nonna Velia e ricorda che avevano delle grosse fornaci e dei grossi chiodi alle pareti che servivano per appendere i salumi.
Quello è un luogo in cui da piccola aveva giocato, aveva ascoltato i discorsi dei grandi e fatto le merende più buone della terra.

L’idea

Ma quale legna!!! Sonia guarda quel vecchio rudere e decide che vuole farci uno studio d’Arte.
Dopo qualche anno sarebbe andata in pensione, desiderava un posto così per proseguire il suo percorso artistico. O missione, se vogliamo.
Si mette in trattative con Peppe, che la stava vendendo, e dopo diversi problemi riesce a prenderla.
Al periodo precedente l’acquisto sono legati due sogni: la mamma, Nanda, venuta a mancare l’anno prima, durante un paio di occasioni preannuncia a Sonia inaspettati cambiamenti, che poi puntualmente avvengono.
Sentendosi sostenuta da sua madre anche da lassù, Sonia finalmente entra nella cantina e con la manovalanza straordinaria di Cesare delle Monache e della sua squadra, assiste alla trasformazione. Il baco viene trasformato in farfalla.

Le vecchie cantine del Borgo Sant’Antonio

Sonia ha cercato di mantenere tutte quelle particolarità proprie di queste vecchie cantine e, laddove non è stato possibile le ha fatte ricostruire.
Va detto che un tempo le case non c’erano, esistevano solo gli ingressi alle cantine, che però non erano sullo stesso livello della strada ma parecchi metri sotto. Per arrivarci si dovevano percorrere dei lunghi tunnel in pendenza.
Erano dei veri e propri vani sotterranei. E, sulla volta dei tunnel (nello studio di Sonia si possono ancora vedere proprio perché li ha voluti conservare visibili) c’erano dei buchi.
Dentro questi buchi venivano scaricati le sementi raccolte che, data quella pendenza, rotolavano fino in fondo al vano, dove poi restavano in deposito per essere conservate.

ArteStudio San Sebastiano O'Spannitore Borgo Sant'Antonio durante la prima edizione di Tracce nel Borgo Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia (1)

Sonia Martelloni durante la I Edizione di Tracce d’Arte nel Borgo

Corsi di pittura e radici

Lo Studio iniziò così a prendere forma e diventare un luogo di ritrovo, un punto di riferimento. Sono di poco tempo dopo i corsi di pittura.
Allievi e allieve, grandi e piccole hanno trovato, nello spazio a cui Sonia ha dato una seconda vita, una casa speciale in cui riscoprirsi e aggiungere bellezza al proprio percorso di vita.
Le bambine le dicono spesso:

ma questo Sonia è un luogo magico!”

E lo è davvero. Ricorda le radici, e qui, l’insegnamento diventa prezioso.
Le stesse mura -che hanno bozzi e imperfezioni ovunque- raccontano una storia fresca, antica, e di un tempo che ha ancora l’odore dei pomodori, delle ciammelle, del brodo fatto con l’osso dell’animale, di quei mandarini.

ArteStudio San Sebastiano O'Spannitore Borgo Sant'Antonio durante la prima edizione di Tracce nel Borgo Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia (4)

Interno dell’Arte Studio: le allieve più grandi di Sonia

O’ Spannitore e la sua vocazione artistica

La cantina diventa studio, Sonia ci passa tante ore a dipingere. La prima cosa che appende alle pareti sono le fotografie della sua famiglia. Perché è a loro che deve l’amore per il Borgo, a loro guarda nei momenti di difficoltà.
Lo stesso Francesco, che all’inizio aveva avuto un po’ di dubbi sulla cantina, si rese conto che Sonia era felice. Decise così di sostenerla e di contribuire all’acquisto.
Quando Sonia è lì, le piace stare dentro quel vicolo, sentire Brunetto che tira su la serranda del bar, ascoltare lo spiffero che sale dalla grotta in fondo. E poi le piace il rumore delle chiacchiere di chi si siede ai tavoli all’aperto, o la presenza delle persone che passano, le fanno un saluto, entrano e le raccontano qualche aneddoto.

Il Borgo Sant’Antonio che torna all’Arte

Non è come un tempo ma ci sono di nuovo tanti artisti che abitano o lavorano allo Spannitore. E questo le fa tornare alla mente le botteghe, e a quanto sarebbe bello creare insieme degli eventi, portare l’arte in strada, proprio come una volta.

Molti riconosceranno in questa storia un pezzo del loro passato o del passato dei loro cari. Dedicato a Rosa, Teta, Adelaide, zia Artemide, Maria, Anna e Livio, Teresina de Memme, Sandro.

Ringraziamenti speciali:

Grazie infinite a Maria Valentina Gargioli per le fotografie in bianco e nero e per essere sempre una portavoce di molte storie di Formello.

E ovviamente grazie a Sonia Martelloni che mi ha regalato i suoi ricordi per farne un racconto che speriamo vi sia piaciuto!


Non disperdete i vostri ricordi, sono il nostro futuro. Chi vuole mi può contattare qui per raccontarmeli


Per raccontare il Borgo Sant’Antonio in una chiave moderna allego una Gallery Fotografica di un evento che ho organizzato insieme all’Associazione Doppio Click, si chiamava:
“Ciao Primavera, Ali Chicche & Cielo”

 

Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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