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I tre lucernari etruschi del Parco di Veio

di Emanuela Gizzi
Lucernario di Pecoio Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

I tre lucernari etruschi del Parco di Veio somigliano a dei grandi gate spaziali e a stare col naso in su si ha la sensazione di esserne inghiottiti

L’origine dei lucernari

I lucernari etruschi del Parco di Veio sono molti più di tre ma, quelli che vi voglio raccontare, mi hanno semplicemente lasciata a bocca aperta.

Sono opere di grande ingegneria e, più precisamente, dei pozzi di servizio e ispezione, ovvero dei fori -rettangolari- che permettevano la manutenzione delle gallerie, sia per accedervi più facilmente sia per garantire -a chi vi operava- interventi immediati.

E, raccontata così, non ha nulla di molto romantico. Sembrano banalmente degli ingressi di una qualche utilità arcana.

L’Evoluzione

Eppure, ad oggi, molti di questi lucernari etruschi del Parco di Veio, ci vengono consegnati dalla Natura come punti di grande interesse.

Questo perché le gallerie etrusche sono state svuotate dalle tempeste atmosferiche: il buio primordiale scavato, fino ad essere ridefinito nei livelli e nello spazio, rispetto alle misure originarie.

Molti di questi cunicoli, che servivano per emungere le acque piovane e trascinarle nella galleria principale, non esistono più; mentre altri sopravvivono al tempo, ci appaiono e scompaiono davanti agli occhi, ingoiati da un mondo sotterraneo ed affascinante.

Lucernario di Fonte Nuova Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Alcuni di questi lucernari hanno subìto lo stesso processo di corrosione dei cunicoli, quindi si è assistito a una reinterpretazione di quel foro, un tempo, ad esclusivo uso tecnico. Sono, oggi, grandi voragini aperte, gate magici, spazi che sfidano lo spazio.

Sui bordi sgretolati restano appesi gli alberi resilienti mentre, sopra ancora, il cielo accoglie lo sguardo, l’emozione, il volo pindarico.

I tre Lucernari Etruschi del Parco di Veio

Nei tre lucernari etruschi del Parco di Veio, in cui si ritrovano, appunto, le caratteristiche di uno stravolgimento dell’opera, i colpi di scalpello non ci sono più, la Natura ha portato via le tracce di ogni lavoro umano. Tuttavia, questa reiventazione del foro ci lascia un’esclamazione, in bocca, di meraviglia, perché l’artistica composizione dei lucernari è, di per sé, un atto d’amore incredibile, cominciato dagli uomini e finito dalla Natura.

Spesso viviamo un luogo senza accorgerci di cosa quel luogo nasconda. E, capita un giorno, di scoprire che, di fianco alla strada che hai percorsa ogni giorno e che percorrerai ancora, si veli -e nemmeno troppo- uno di questi lucernari.

Il primo lucernario

Il lucernario della zona di Peccio è, ad esempio, un caso eclatante. È adiacente la strada formellese sud. Si scende in una bocca di roccia e si spalanca a cielo aperto, lì, a un passo dalla nostra quotidianità.

E, vi posso assicurare, che una volta entrati dentro quella scultura -immobile nel tempo-, la nostra quotidianità diventa cosa d’altri, svanisce il senso del dovere, delle preoccupazioni, non ci si domanda cosa vogliamo diventare ma cosa siamo diventati.

Lucernario de La Selvotta Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

C’è un contatto diretto con il genio etrusco da cui discendiamo, entriamo nella pancia dei suoi capolavori e il silenzio che rimbomba nella forra ci travolge, rendendoci una bellezza insperata.

Un luogo dimenticato, rimasto orfano per secoli che, improvvisamente, torna nelle nostre vite. Qualcosa cambia, ci si sente alieni, ci si domanda se ce ne siano altri, se esistano altre ricchezze mai percepite.   E si inizia a cercarle, volerle, sentirle attorno a sé.

Quando piove, ad esempio, e la piccola Galleria di Peccio si riempie di acqua, c’è una spettacolarità di riflessi che non si trova in altri luoghi. E’ un micro ambiente dentro il quale si ha piacere di fuggire, lontani da tutto.

Il secondo Lucernario

Quando, invece, la nebbia ingoia ogni verdura, sentiero, respiro, il lucernario nel bosco de La Selvotta, raccoglie una magia spettrale. Un’aria densa, impastata all’odore di foglie bagnate, alla muschiosità delle pareti rocciose, sale fino ai nostri sensi e va a mescolarsi al rumore dell’acqua che scorre sotto i piedi. Ci si sente parte del sottosuolo ma anche del cielo, ci si sente al centro della terra.

Il terzo Lucernario

Se, invece, il sole inebria le foglie di colori brillanti, il lucernario di Fonte Nuova, è quello che preferisco. Il luogo della spiritualità.

Non ci sono rumori se non quelli provocati dal vento o dallo sgretolarsi delle pareti. È come una Chiesa circolare dentro cui può piovere, si può gridare, ci si può sedere, si ha voglia di sentire il silenzio invaderci.

Grandi occhi, grandi bocche, grandi buchi nell’aria, interpretateli come meglio li recepite ma sono soprattutto ciò che ci resta della genialità del popolo etrusco.


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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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2 commenti

Diego 23 Gennaio 2020 - 11:01

Emanuela Gizzi, i tuoi racconti sono penetranti.
Emozioni sempre con le sfumature sensoriali.

Rispondi
Emanuela Gizzi 16 Febbraio 2020 - 18:38

Diego, grazie. Ci metto del mio, anche nei luoghi che mi raccontano. Mi sembra di vederli. In questo caso sono emozioni mie.
Poi sai già, con te e Francesco ho potuto appropriarmi di luoghi mai visti prima eppure vicini a casa. Un abbraccio grande e grazie

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