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Il luogo del cuore di Nonna Lucia

di Emanuela Gizzi
Il luogo del cuore di nonna Lucia Pht Michele Polucci per Mapping Lucia

Il luogo del cuore di nonna Lucia si trova nelle Marche, lei viene da lì, da un paesino tra i monti Sibillini, l’ultima parola che ha pronunciata è stata Pietremastru

Da Amandola in poi

Il luogo del cuore di nonna Lucia è anche il mio. Me lo ha fatto amare tantissimo. Lei non ha mai viaggiato. O meglio non nel senso vero del termine.

E’ nata nelle Marche , se oggi le facessi un’intervista, mi parlerebbe -certamente- di Amandola, questo paesino che dorme tra i Monti Sibillini.

Si trasferì a Roma quando era giovanissima, a servizio di una famiglia del Pigneto e, -se pure- era sempre stata una persona introversa, riuscì a fare un passo impensato. Quel viaggio senza ritorno le costò molto. Era la quartogenita di sei figli, di cui quattro sorelle -zia Maria, zia Filomena, zia Giuseppina, zia Celestina– e un fratello –zio Giulio-.

Era sempre vissuta con loro, così, quando si trasferì una, si trasferirono tutti, tra Roma, Palestrina, Aprilia, Campagnano. Altri due fratelli morirono in guerra e sono seppelliti insieme al padre nel cimitero di Amandola.

Conobbe mio nonno, si sposarono, poi persero la primogenita di sei mesi -gravemente colpita da polmonite- e nel 53’ concepirono mia madre che rimase, così, la loro unica figlia. A Formello ci arrivò per seguire mia madre che sposò il figlio de O’Toscano, come chiamavano il padre di papà, in paese.

Un’appartenenza che ci unisce

Ma riavvolgiamo il nastro. Torniamo nei luoghi dove è nata. In Amandola.

Io ho trascorso lì tutte le estati della mia infanzia –dal 1980 al 1992- tra i vicoli miniaturizzati di una frazione di nome Verri, nella casa che era stata di zia Filomena, ospiti degli amici di nonna che l’avevano acquistata. Una casa che ho amato molto.

Quando tornavamo, ogni fine giugno, le montagne ci si spalancavano davanti, così i campi coltivati, tutta la bellezza che non riuscivo mai a paragonare a nulla perché, a qualsiasi cosa pensassi -un quadro, una scultura, un altro paesaggio-, niente avrebbe potuto competere.

I girasoli, il profumo del grano trebbiato, l’odore del mais arrostito sulla brace, le stelle cadenti a San Lorenzo, il canto del gallo e la sensazione agre che entrava dalle finestre la mattina, la televisione in bianco e nero che ci riportava ai fatti italiani, il rumore della pioggia sulla pianta di nocciole e la sensazione di essere sempre ubriachi.

Per tanto tempo non capii come mia nonna fosse riuscita a lasciare un posto tanto speciale. Le porte delle case erano sempre aperte e in tavola non mancava mai il vino cotto. Era obbligatorio abbuffarsi. Le lonze, i formaggi del pastore, le coppe maritate, le salsicce sottolio, ci venivano offerti sotto forma di banchetto goliardico, e quello, con semplicità, era il modo di quelle persone di dimostrare accoglienza, darci il benvenuto.

Le canestrelle in Amandola Pht Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Quella corona di famiglia

Amandola si trova, all’incirca, a tre chilometri dai Verri. Quando ero piccola mi sembrava una città grandissima, in realtà è un paese che si tiene in un pugno e gli unici luoghi aggreganti erano i vari bar e Piazza Alta. Passavamo tutta l’estate tra il Silos -nei Verri– e La Casa del Gelato -in Amandola-, un vero fiore all’occhiello.

Il periodo più movimentato era l’ultima settimana di agosto, quando si celebrava la festa del Patrono e la Sfilata delle Canestrelle, una rievocazione storica dell’offerta del grano al santo.

I fili dorati riempiono lo spazio e per quel giorno l’asfalto viene seppellito dal passato, dalle tradizioni, dalle donne con i canestri in testa, che fluttuano in costumi poveri. L’arte prende il sopravvento, il paese subisce una trasformazione, c’è aria di festa, si fanno delle colazioni meravigliose, lunghissime.

Il tesoro di famiglia

Nonna Lucia non mancava mai di portarci di fronte alla statua della Madonna, nella Chiesa del Beato Antonio, per arricchire ogni anno di dettagli, il racconto della corona indossata dalla Vergine.

Sua madre, quindi la mia bisnonna, Eufrasia -ci disse la prima volta che varcammo l’altare- aveva creato con le sue mani quella tiara, credo di ferro perché i miei bisnonni non erano ricchi, e lei se ne sentiva orgogliosa, lo si vedeva dagli occhi brillanti, aveva bisogno che anche noi lo fossimo.

E io, cavolo, lo ero. Mi sentivo una bambina fortunata, la custode di un tesoro, un manufatto che oggi ha più di cento anni e che rimarrà per sempre, un poco, anche mio. Peccato che la statua recentemente sia stata spostata in una stanza adiacente alla chiesa e che non si riesca mai a sapere da qualcuno se la coroncina è l’originale o se invece è una copia.

Effetti del Terremoto in Amandola Pht Giuliano Torresi per Mapping Lucia

Dopo il Terremoto – Pht Giuliano Torresi

E poi il terremoto

Negli ultimi anni il luogo del cuore di nonna Lucia è stato minacciato più volte dal terremoto, l’ala dell’ospedale dove c’era il pronto soccorso è chiusa da qualche anno, la chiesa è rimasta imprigionata dentro strutture di rinforzo, così come si è perso lo spiritello allegro che danzava nei viottoli dei Verri. C’è un’assenza greve di movimenti. L’ultima volta che sono andata ho scampato per un giorno soltanto il terremoto che ha colpito Amatrice e che si è sentito forte anche nel sottosuolo amandolese.

Ho i racconti dei miei amici che mi descrivono i posti come svuotati: molte delle famiglie che conoscevo si sono trasferite, molte delle case in cui entravo per bere il vino cotto o assaggiare il lonzino non sono più agibili, molti di quei ricordi che si affacciano ogni tanto alla memoria sembrano appartenere a un’altra vita. Come mia nonna e mio nonno che non perdo mai di vista ma non sono più terreni. Come le amicizie che avevo costruite e oggi sembrano così lontane.

Dove tutto nasce e finisce

Amandola è il luogo in cui tornerò sempre, nonostante la terra che trema, nonostante mi faccia soffrire il vuoto rimasto. L’ultima parola di mia nonna è stata per Amandola, ha detto “Pietremastru” e io ho capito che è là che è tornata, sul fiume dove con le sorelle andava a lavare i panni. Mi pare di sentirle ridere insieme, quando ci capito.

Il luogo del cuore di nonna Lucia è come un altro bene da custodire oltre ai Fiori di Luna.

Comunque quando sono tra le mie montagne perdo il contatto con la realtà, mi rigenero, ho un diverso modo di respirare, mangiare, sorridere. Sono legata ai Portici, dove mi siedo da una vita a prendere un caffè, chiacchierare; a Piazza Alta, dove mi piaceva sdraiarmi sulla panca ad annusare l’odore del vento e della resina.

Ma non è nemmeno questo a tenermi col fiato sospeso quando ci torno. È un filo invisibile, un sentimento che mi sgorga dalla gola e non si placa, una storia lunga di anziani che giocano a bocce, di ronzio d’api, di camminate sotto la luna, di polvere sollevata dai nostri piedi. Di scorpacciate di fichi seduti dentro la pianta di Mario, delle domeniche in cima a San Pietro, di sere passate sul Silos a immaginare il nostro futuro, di persone che ho avuto l’onore di conoscere e di cui a volte fatico a raccontare.

La casa giallo-zabaione

Mia nonna da piccola, prima di trasferirsi a Roma, abitava in una casa giallo-zabaione, su una delle curve che precedono Amandola. Per la sua collocazione mi è sempre sembrata una stazione della Posta, non so perché.

E lì, di fianco, si inerpica uno stradino sdruccioloso che lei percorreva ogni mattina -anche quando c’era la neve- per raggiungere la scuola, con una fascetta di legna sotto braccio, per scaldarsi, e un libro di poesie che sapeva a memoria.

Si chiama La Vena, quel pezzetto di terra da cui veniva.

Tutte le volte che ci sono passata, e sono tante, non ho mai smesso di pensare alle mura della sua infanzia, a come doveva essere vissuta, a cosa le era piaciuto fare, a cosa non.

nonna lucia all'Ambro Pht Emanuela Gizzi

Quel luogo del cuore che ci unisce

Ma se devo essere sincera, tra tutti i posti in cui siamo state insieme, quello dove riesco a sentirla di più è il Santuario della Madonna dell’Ambro.

Mi perdo nello scorrere del torrente che porta le trote a valle, nel fruscio che rimbomba tra le rocce, salgo il ponticello, dove si affacciava a guardare l’acqua e poi mi sembra di scorgerla sugli scalini che portano alla Chiesa, tra la gente che sale.

Abbiamo tante foto e in vari punti -di anni diversi, sarà per quello. Si gira e mi sorride, quel sorriso pacato che aveva, ma spiritoso. Mi pare sia lì, impaziente, che mi aspetta da molto.

Lei è stata felice in quei posti e anche io.

Dedico questo articolo ai miei amici -i celletti– di quel periodo magico:  Ivan, Alessia, Katia, Lorenzo, Eliseo, Luigino, Raffaele, Maurizio, Grazia, Giuliana, mia sorella Stefania. E infine a Patrizio, che ci ha lasciati al bivio, in mezzo alla polvere delle sue sgommate.


Un ringraziamento speciale a Giuliano Torresi e Michele Polucci per le fotografie che mi hanno concesse.


PUOI LEGGERE:

Mission

Mappa dei Fiori di Luna

Il profumo di mia nonna

Le poesie del libro “Dal Vento al Vento”

 

Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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