Un papà senza pedali

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Metti su la schiena, il corpo se ne ciondola distante,
rimetti su i tuoi occhi, lo sguardo fissa vacuo una qualche geometria.
Metti su i pensieri, la mente ha ferite non rimarginabili.

Glu!

Sei scivolato come una goccia d’olio dentro un bicchiere vuoto.
E intanto le tue biciclette,
appese ai muri sgretolati
sono ferme come ragnatele che aspettano il ragno.
Non sanno che l’aria si è fermata,
che l’aria che ti gira intorno ha una dimensione apparente,
fatta di nostalgie.
Che chi ti gira intorno è impotente
e deve muovere con te
ogni singolo passo per farti camminare, mangiare,
metterti un sorriso dentro il viso consumato.

Sei come una farfalla che sta tornando nel suo baco primordiale.
Ti muovi in silenzio,
orrendo silenzio che ti ha allontanato da noi.
E che ti mette in bocca parole straniere che nessuno comprende,
il tuo nuovo vocabolario
con cui costruiamo discorsi solo nostri.

Sei inviolabile.
La figura fragile di un uomo barricato dentro l’armatura di un soldato,
che resiste, si ribella, qualche volta ci sorprende con una linguaccia
e fa i passi piccoli con la schiena curva
ma li mette tutti uno davanti all’altro come un robot telecomandato.

In questa condizione umana
di umano non c’è niente,
solo qualche spiraglio in cui recuperiamo un po’ di vecchia vita
per sognare come eravamo
quando correvi e l’aria la sfidavi
te la mettevi in saccoccia e tagliavi il traguardo con le mani vittoriose.

Nei miei ricordi resta quel padre lì
anche se
lo scheletro maldestro in cui vivi ora
fa di tutto per cancellare il ciclista che sei stato.

Metti su le mani, ti solleviamo e ti cantiamo una canzone,
rimetti su il tuo viso, con un cucchiaino ti dissetiamo piano piano,
senza avere fretta.
Metti su i piedi, magari riusciamo anche a pedalare insieme.

 

 

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