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Museo del Pellegrino di Campagnano: il viaggio

L'archeologia messa a disposizione dei cittadini ribadisce lo spirito di accoglienza verso i pellegrini provenienti dalla Via Cassia, Via Francigena e Via Amerina

di Emanuela Gizzi
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Prima di diventare Museo del Pellegrino di Campagnano

Il Museo Civico a Campagnano non nasce oggi ma nel 1989 con il supporto della Soprintendenza che ne tutelò il grande valore archeologico. Duecentosettanta reperti presero dimora nel Palazzo Venturi a Campagnano ma è soltanto più recentemente, a Maggio del 2022, che il Museo ha acquisito consapevolezza e una rinnovata progettazione del tempo e dello spazio. Oggi, ad esempio, vi sono esposti quattrocento pezzi, di cui tre davvero interessantissimi e uno praticamente unico.

MAP e ospitalità

Ho incontrato Michele Damiani, archeologo e specialista delle attività culturali del Comune di Campagnano di Roma, con lui ho letteralmente vissuto due ore in uno spazio arco-temporale parallelo.
Per comprendere il Museo Archeologico del Pellegrino, il cui acronimo è MAP, bisogna partire dalla Valle di Baccano, un’area fortemente legata a diversi assi stradali antichi come la Via Cassia, la Via Francigena e la Via Amerina.
Un antico cratere in cui ha languito per secoli un lago che ora non c’è più ma che ha determinato le sorti della valle. Qui, in questo luogo, si sviluppò il concetto di viaggio, un tema che viene ripreso dal museo -quale bagaglio culturale- per spiegare la vocazione ricettiva del territorio.

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E, soprattutto, il museo è legato alla Mansio di Baccano, l’Antica Stazione di Posta che si trova al XXI miglio della Via Cassia. La scoperta di questa struttura a metà degli anni Ottanta è risultata straordinaria perché la si è trovata integra rispetto a quanto rimasto: la chiesa, il casale, il borghetto e quindi le terme, le taberne, l’albergo, non sono stati rimacinati dagli eventi. È da Mansiones come questa che nacque il sistema delle tappe sulla Via Francigena e sugli altri cammini di pellegrinaggio d’Europa.

Facciamo un piccolo passo indietro

Succede che spesso nel corso della storia cambiano i centri d’attrazione e i modi di spostarsi. Così, di conseguenza, anche le strade subiscono delle modifiche, vengono raccordate con altri tratti, la viabilità assume connotati diversi. Ma le fonti storiche restano e, attraverso quelle, si recuperano beni di valenza sociale e culturale. Due sono le scritture che hanno permesso di recuperare la Mansio: il martirio di Sant’Alessandro e una mappa chiamata Tabula Peutingeriana.

Il Martirio di Sant’Alessandro

Il prete Adone circa 150 anni dopo il martirio di Sant’Alessandro, scrisse la cosiddetta “Passio”, una storia di martirio in cui mise nero su bianco ciò che conosceva di quell’episodio. Così sappiamo che Sant’Alessandro, Vescovo di Baccano, perseguitato dai Severi, venne portato alle fornaci delle Terme di Baccano per essere arso vivo.
Ma accadde che il vescovo uscì illeso dalle fiamme, si gridò al miracolo e gli stessi soldati rimasero increduli, incapaci quasi si prendere una decisione sul da farsi. Ma poco dopo lo giustiziarono al XX miglio della Cassia Antica, decapitandolo su un cippo miliare. La lama esposta in una teca del Museo del Pellegrino di Campagnano ricorda le fattezze dell’arma usata dai soldati.
Gli accoliti raccolsero le spoglie e lo seppellirono in un cimitero. Dalla scrittura desumiamo vi fosse già un cimitero nella Valle di Baccano perché i morti non venivano seppelliti in piena campagna.

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Il pellegrinaggio fino alla Basilica di Sant’Alessandro

Il fatto accadde nel 220 d.C. circa, i fedeli crearono intorno a questa tomba un pellegrinaggio silenzioso che si trascinò nei decenni a venire, fino al 313 d. C. quando Costantino batté Massenzio e promulgò l’Editto di Milano con cui il Cristianesimo veniva liberalizzato.
Emerse a questo punto la figura di Papa Damaso, divenuto protettore degli archeologi grazie al grande lavoro di recupero delle catacombe cristiane.
Il Papa, proprio sul luogo del cimitero, dopo il 321 d.C. fece erigere la Basilica di Sant’Alessandro che diede il nome anche al borgo che gli si era formato intorno.

La Tabula Peutingeriana

La Tabula Peutingeriana è una copia di epoca medievale di una carta stradale dell’Impero Romano risalente al IV secolo d.C.
Questa tracciava le vie militari dell’Impero, quindi non è una mappa geografica ma un rotolone di 7 metri, che si srotola orizzontalmente e in cui ritroviamo a un certo punto Ad Vacanas ovvero Valle di Baccano.

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Le sorti della Mansio di Baccano

Il Museo del Pellegrino di Campagnano traccia una storia che va oltre i classici reperti rinvenuti in uno scavo.
La Mansio a un certo punto sparì. Cosa accadde dopo che il Cristianesimo si affermò?
Complici i cambiamenti climatici, il lago -che occupava l’antico cratere vulcanico della valle-, divenne un luogo inospitale, acquitrinoso, sicché, gli abitanti preferirono abbandonare la palude e muoversi verso le alture, spostando il centro di attenzione dalla Via Cassia alla Via Francigena.
La Mansio venne letteralmente ingoiata dal fango, due metri di melma che investirono ciò che aveva rappresentato. E ci si dimenticò che fosse mai esistita.

Nascita del Castello di Campagnano: la nuova accoglienza

La palude crebbe fino al Baccanello, dove oggi troviamo la zona Le Rughe, deviando così l’asse del pellegrinaggio che si infilò sulla sella montuosa della Valle del Sorbo.
Fino all’XI secolo la Valle di Baccano sopravvisse, se pur negli stenti, fino a che non soccombette al nascente Castello di Campagnano.
In questo riassetto della viabilità a farne le spese fu il Borgo di Sant’Alessandro e anche la Basilica che non vennero mai più ritrovati.
C’è una via Sant’Alessandra che potrebbe aver ereditato il nome proprio dal borgo e ci sono due pilastrini d’altare rinvenuti nella valle che potrebbero rappresentare l’unica traccia ritrovata della basilica ma null’altro che possa realmente ricucire la lacuna.

La Via Cassia torna a far viaggiare: le Osterie

La Via Cassia venne rilanciata solo nel 1300 per volere di Papa Bonifacio VIII che riportò in auge gli spostamenti grazie alla creazione delle osterie lungo il percorso.
Nella zona del Baccano nacquero l’Osteria dell’Ellera e l’Osteria dello Lione (l’attuale Ristorante Postiglione) due ristori che divennero attrattori e, di nuovo, luoghi di accoglienza.
Di qui passarono i politici ottocenteschi, le truppe napoleoniche chiamate a sedare il brigantaggio e gli artisti dei Grand Tour. Grandi nomi del calibro di Goethe, Alfieri e Belli.
Il Museo del Pellegrino oggi ha il compito di tessere un filamento antico e ricordare ai camminatori e viaggiatori le fasi del pellegrinaggio e gli strumenti del peregrinare.
Anche perché, ciò che non scomparve mai fu la vocazione a ricevere i viaggiatori.
Quando la Mansio non poté più assolvere al suo ruolo subentrò il Borgo di Campagnano. Lo vediamo anche dall’assetto urbanistico: le facciate delle abitazioni e delle chiese più antiche sono tutte rivolte a nord, e quindi verso la campagna da cui arrivavano i pellegrini.

Il Postale dei Chigi (Il Postiglione)

Il Castello di Campagnano, che nel medioevo era divenuto di proprietà della Famiglia Orsini, nel 1661 passò in mano alla Famiglia Chigi. E qui, in qualche modo, il viaggio è diventato circolare, quasi un giro di boa. I Chigi, infatti, riacquistarono l’Osteria dello Lione, poi detta Posta di Baccano, venduta in precedenza dagli Orsini per fare cassa, e la potenziarono con un granaio e una stalla.
In questo modo, chi arrivava con i cavalli, si poteva fermare, rifocillarsi e far abbeverare gli animali.
Ma non solo, questo luogo divenne il Postale dei Chigi, laddove cioè arrivavano le lettere destinate ai paesi limitrofi.
L’accoglienza sulla Via Cassia è di nuovo il tema centrale, un fuoco che non si è mai spento.
All’interno della proprietà dell’attuale Postiglione, divenuto Ristorante e Locanda, si trova lo scavo dell’antica via e anche una cappelletta che si dice essere stata costruita sul luogo del martirio di Sant’Alessandro.
Tutto questo valore torna indietro, nelle nostre mani, come un tesoro che non vedeva l’ora di essere recuperato.

Nasce il Museo del Pellegrino di Campagnano

Ovvio che, un tale vaso di Pandora, non poteva stare più nel museo civico istituto dentro Palazzo Venturi. Non sarebbe stato sufficiente a rendere giustizia alla posizione di rilievo del territorio campagnanese, né tantomeno in grado di rilanciare il tema del viaggio e dell’accoglienza.
Perfino il nome “museo civico” era vetusto e poco allettante. Così, nel 2016, l’assessore Giovanna Mariani e la giunta comunale di Campagnano hanno intrapreso una strada diversa: a maggio del 2022 dopo anni di lavoro è nato il Museo Archeologico del Pellegrino.
La sede attuale si trova in Piazza Regina Elena 15, nel palazzo di fine Settecento, in cui un tempo erano ospitate le scuderie della caserma dei carabinieri pontifici, gli stessi destinati alla vigilanza della Cassia e del Corso Postale.
Se ci pensiamo è una storia bellissima ed è come se i pezzi di un mosaico avessero trovato finalmente la giusta collocazione.

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Narrazione su narrazione

Ad un percorso già così follemente interessante, che si apre camminando su una riproduzione in scala del basolato dell’antica Via Cassia, è stato affiancato un ulteriore strato di narrazione. Una seconda pelle.
Sulle pareti bianche sono state riportate citazioni di viaggio famose che ci ricollegano ad altri tempi, ad altri luoghi e ad altre personalità. Così, senza tabù, anzi, di concerto con quella che è la finalità del museo, farci peregrinare nel tempo.
Ci possiamo perdere allora tra i pensieri di Socrate, Papa Giovanni Paolo II, Dalai Lama, Buddha, Kierkegaard, Antoine de Saint-Exupéry, Dante, Nietzsche, Calvino, senza peraltro essere troppo filo-qualcosa.
D’altronde tutte le epoche hanno parlato di viaggio ed hanno alimentato altri viaggi.

ll Museo del Pellegrino ci ricorda esattamente da dove veniamo e dove stiamo andando.
Iconica questa frase di Italo Calvino che dice:

Arrivando ad ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più di avere”

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Gli elementi ritrovati e conservati nel Museo del Pellegrino di Campagnano

Nel Museo ci sono diversi reperti con una storia pazzesca e uno assolutamente unico nel suo genere. Li riporto qui di seguito.

Il comignolo romano

Il pezzo unico del Museo del Pellegrino è un comignolo romano che non si trova in altri musei al mondo.

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Il Signum di Giove

Invece l’elemento che mi ha sorpresa di più è il Signum di Giove.
Si tratta di una statuetta alta 7 cm appena che, dobbiamo pensare, si è salvata da un’opera di distruzione massiccia. Al tempo, quando smantellarono la Mansio, il materiale marmoreo finì in delle buche chiamate “calcare”, dove venne sciolto, trasformato in calce viva e infine in malta. Si sono persi tanti elementi decorativi in questo modo, ma non il Signum di Giove. Partiamo allora dalle ricerche di Michele Damiani. Innanzitutto si tratta di Giove perché dal braccio del Dio pende giù la pelle di capra, la cosiddetta egida (da cui nasce il detto: stare sotto l’egida di qualcuno), che voleva essere un regalo a Minerva quale atto di protezione. E, proprio la protezione e la buona fortuna sono gli elementi distintivi di questa statuetta. Damiani, infatti, facendo ricerche su un’altra Mansio, quella del Passo del Gran San Bernardo, ha scoperto che anche lì un’archeologa aveva fatto un ritrovamento identico: una statuetta con una mano destra e un piede sinistro mancanti. Non si è accontentato e, continuando a scavare, ha trovato una voce, quella di Plinio il Giovane che, nello scrivere a un collaboratore circa la sua imminente partenza, citava tra le cose da fare prima di mettersi in viaggio, un acquisto importante: il Signum di Giove.

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Doveva dunque essere considerato al pari di un santino? Un portafortuna?

Comunque, da quanto si evince, era un elemento immancabile legato al viaggio.
Una volta a destinazione, quando cioè il Giove aveva svolto la sua funzione, subiva il rituale dell’amputazione della mano che porta il fulmine, quasi a scongiurare possibili pericoli o disavventure.
Nella Mansio di Baccano la mano che sorreggeva il fulmine si è persa mentre nella Mansio del Gran San Bernardo è stata ritrovata insieme alla statuetta.

Il Mosaico delle Terme di Baccano

Il secondo elemento di grande valore è il mosaico che ricopriva il Tepidarium delle Terme di Baccano. Ora è circondato dalle mangiatoie, dagli anelli dell’Ottocento, dal fienile, e da tutti quei reperti rinvenuti nella Mansio, ma un tempo accoglieva i viaggiatori che volevano rilassarsi tra le acque calde e il vapore acqueo.
Le tessere del mosaico rappresentano delfini che nuotano insieme ad altri pesci e in mezzo alle increspature del mare. Dopo il suo rinvenimento venne smontato e portato al Lucus Feroniae di Capena, dove rimase immagazzinato per anni.
Quindi, però, in vista del nuovo Museo del Pellegrino è stato recuperato, rimontato e restituito alla comunità.
Pensare che il fango lo aveva inghiottito ci da l’idea suggestiva che la storia, anche se passata, ogni tanto si riaffaccia per ricordarci da dove veniamo.

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Tre linee parallele nel tempo al Museo del Pellegrino di Campagnano

L’elemento che invece dilata il tempo nel Museo del Pellegrino di Campagnano e lo rende unico (o una nota -se vogliamo- di colore) è un pannello in cui sono tracciate tre linee:
Su una c’è la storia di Campagnano, quindi locale, su un’altra i grandi eventi della storia dell’uomo, sull’ultima i viaggi, spedizioni, migrazioni ed esplorazioni.
In questo modo sappiamo esattamente, per esempio, cosa accadde nel 1271: mentre a Campagnano veniva varato il primo statuto dal Cardinale Annibaldi, in Sicilia i vespri stavano mettendo in piedi la rivolta contro i francesi e Marco Polo si apprestava a scrivere “Il Milione”.
Questo incrocio di vite, di storie, di eventi è un elemento chiave del Museo del Pellegrino che in questo modo riesce ad auto-contestualizzarsi dentro un cammino più grande, epico.

Il Museo del Pellegrino e i suoi “capitani” d’avventura

Se oggi possiamo riappropriarci di un valore storico tanto importante lo dobbiamo al concerto di professionisti preparati.
Il responsabile dell’ufficio tecnico di Campagnano, Antonio Mascia, il direttore scientifico del Museo, Fabrizio Vallonga, i Soprintendenti Margherita Eichberg e Daniele Maras, infine lo specialista delle attività culturali del Comune di Campagnano, Michele Damiani, che ringrazio per l’energia e la passione che mette sempre nel raccontarci chi siamo stati prima di venire al mondo.

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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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