Le fotografie di Francesco Mascitti sono dei frame, il suo occhio -abituato a lavorare per immagini- si ritaglia uno spazio nato a suo tempo sui banchi di scuola
Carpe Diem
Le fotografie di Francesco Mascitti nascono per rubare al tempo un po’ del loro scorrere.
Oggi ama senza dubbio l’i-phone, più diretto, più tangibile. Non sfuggono i momenti, ce l’hai sempre in tasca. La sua versione di fotografia è questa, probabilmente anche perché quando viaggia ama camminare leggero.
E come dargliene torto? Già nel lavoro la steadycam, che non è proprio una macchina da ripresa facile da gestire, fa da estensione al suo corpo; così, quando può, ovunque sia, ama cogliere i dettagli piuttosto che aggiunger una fotografia perfetta all’album.
Il Mascitti è come quei fotografi che, quando scattano, vogliono sentire l’emozione dello scatto. E questo si percepisce guardando le sue immagini, si avverte che se ha fermato un momento, un viso, un panorama, quelli devono aver significato qualcosa di profondo.
Intervista in giardino
La nostra intervista è stata a distanza, le mascherine a disarmarci.
Gli ho chiesto subito come nasce la passione per la fotografia, anche perché è la prima informazione su cui curioso sempre.
Diciamo che è nata per caso, studiando. Non sono stato uno di quei ragazzini che sin da piccoli chiedono come regalo una macchina fotografica. Però ho frequentato l’Istituto Cine-Tv Roberto Rossellini e in quel campo le tecniche di ripresa sono quelle di base della fotografia. Vuoi o non vuoi ci capiti dentro.
Non è stato un seme che è germogliato da solo, ma l’innesto della materia ha innaffiato questo seme. Che comunque c’era, anche se non l’avevo visto”
Il suo percorso inizia assecondando la curiosità. E quando comincia a metterci mano si rende conto che, pur non essendo predisposto per i concetti legati alla matematica, tutto diventa istantaneo, meno distante di come lo aveva immaginato. Coglie le opportunità come se queste, per necessità, gli esplodessero in mano .
Le fotografie di Francesco Mascitti senza macchina fotografica
Approccia il foro stenopeico, che fino ad allora era stato solo qualcosa di vago, e questo elemento d’altri tempi diventa per lui un oggetto di culto.
E pensare che quando gli chiesero di presentare il suo primo lavoro sulla profondità di campo non aveva nemmeno una macchina fotografica. Se la fece prestare da un amico, e lavorando con quella reflex della Yashica capì che la pratica era di gran lunga meglio della teoria.
“Sì, mi si aprì un mondo. E volevo ben sperarlo visto che facevo un immenso sacrificio per arrivare sulla Laurentina. Io abitavo a Monte Mario. Quando mi andava bene e non pioveva partivo con il motorino, ci mettevo un’ora e mezza, il casco in testa anche se allora non era obbligatorio. Me lo mettevo per pararmi dal freddo. Invece quando pioveva mio padre mi accompagnava alle 5.50 alla fermata della metropolitana di Ottaviano. Scendevo a Termini e cambiavo fino alla Laurentina dove poi prendevo il 765. Un film per non dire un’odissea”
Ladri di motorini
La Rossellini era strutturata per anni.
Il primo anno era unico per tutti, poi si sceglievano gli indirizzi: fonici, montatori, fotografi, segretari di edizione, produttori, disegnatori, fumettisti. Il quarto anno diventava di specializzazione e il quinto era segnato dall’esame di stato. Quello era unico per tutti. Ma non era un esame come tanti altri: si formava una troupe e si produceva un lavoro finale.
“Fu piuttosto divertente. La nostra troupe produsse un corto all’Eur, una rivisitazione in chiave moderna di Ladri di biciclette, si chiamava Ladri di motorini. Io comunque avevo già maturato qualche esperienza perché mentre frequentavo il quarto anno lavoravo per una rete privata, Quarta Rete Tv. La mattina studiavo e il pomeriggio mi formavo.
Poi subito dopo l’esame di stato -ero in vacanza a Tropea- mi arrivò la cartolina del militare. Mi imbarcai dopo poco per la Sardegna. La fortuna fu che, visto il lavoro che facevo, mi impiegarono nel centro cine-foto per l’esercito”
L’incastro tra il cinema e la fotografia
Poi la carriera è decollata. Prima il network nazionale video music, lì Francesco viaggiava tantissimo: dall’Egitto al Festival di Cannes, a Venezia; infine in Rai, dove lavora ancora oggi.
Molte delle mie amicizie storiche sono di quel periodo. È stato un gran bel periodo. Mi sono vissuto tutto tangentopoli, ne avrei di storie da raccontare…
Comunque ovvio che il lavoro mi ha avvicinato moltissimo alla fotografia. Da una parte c’è la cinematografia con il suo movimento, con la scrittura tramite movimento, e dall’altra c’è la tecnica fotografica. È un passaggio quasi naturale.
E la composizione statica, che si basa sul concetto di conoscere il peso visivo della composizione fotografica, è rimasta un’ossessione per me.
Da lì nasce il mio interesse per la fotografia.
Anche se non avevo nemmeno una macchina fotografica. Ma avevo una Voigtlander, era di mio padre. Non aveva esposimetro, si decideva a seconda dei metri come accoppiare tempi e diaframmi.
E quelli erano tempi in cui speravi che lo scatto fosse riuscito, o almeno di poterlo correggere in fase di stampa”
Le fotografie di Francesco Mascitti e altri sogni
Un paio di sogni nel cassetto Francesco Mascitti ancora ce li ha: stampare in casa, che è una tecnica che lo ha sempre affascinato, e iscriversi al Dams, l’Università di Discipline Arti Musica e Spettacolo.
“Avendo iniziato a lavorare quando ancora studiavo non ho potuto proseguire gli studi, all’epoca non potevo pianificare nulla. Oggi un corso triennale potrei anche farlo.
Mentre per la stampa sono diventato pigrissimo. Diciamo che c’è un pregresso. I costi dell’attrezzatura fotografica sono sempre stati al di sopra delle mie possibilità. Ma appena ho avuto due lire, mi ricordo che ero a sciare a Livigno che è porto franco, mi sono comprato una macchina seria e alcune ottiche di precisione.
Da allora ne sono successe di cose, ma soprattutto è capitato di mezzo il digitale. Non mi ricordo quanto è passato prima che mi ci abituassi. Poi ho capito che potevo stampare da casa con delle stampantine, aggiustare i toni, dargli contrasto, e per me è stata una rivelazione. Ma i costi erano di nuovo eccessivi. Quindi ho smesso di stampare, anche se ogni tanto faccio la follia di stamparne duecento insieme.
Dico sempre che quando si fermeranno gli hard-disk perderemo la memoria.
Poi il digitale è andato avanti e io sono impazzito per le full-frame. E come se non bastasse da nikonista puro sono passato a una Canon. Infine, la Canon è miseramente morta sotto un’ondata alle Cascate del Niagara e da lì… solo smarthphone!”
Uno Smarthphone è per sempre
A conclusione di questa chiacchierata una domanda è d’obbligo: Ma cos’è per te l’arte?
Eh, direi la bellezza in tutte le sue espressioni. Può essere il volto di una donna, un fiore che germoglia, le rughe di una vecchina. È un’immagine viva. Per me anche lo scatto istantaneo è arte.
E i social in qualche modo ci hanno fatto diventare artisti, hanno acceso delle lucine. Alcuni si sono scoperti fotografi così.
E io amo guardare le foto pubblicate. Soprattutto se mi raccontano qualcosa ma anche se sono solo belle e basta. Immagino delle storie, dei mondi”
-Tu, invece, come racconti quello che vedi?- gli chiedo.
“Mi piacciono gli angoli molto grandi, il fish eye, il ritratto. Preferisco l’ottica fissa e giocare con angolazioni particolari, mi piace l’effetto panning, ma soprattutto mi piace poter scattare quando voglio, lo smarthphone è un elemento che non cambierei mai”
Sotto: la Gallery fotografica con le fotografie di Francesco Mascitti, che ringrazio per essersi prestato e essersi raccontato.
Una chicca di Francesco per l’Istituto Comprensivo Barbara Rizzo di Formello: un video bellissimo
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