Le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti non ingannano, si mostrano anzi, piene d’impeto, soggiogate dalla mano degli uomini “infedeli”
Incontro con i protagonisti
Anime Nascoste di Maurizio Fabretti è la mostra che non ti aspetteresti di vedere. Nel senso che siamo abituati ad esposizioni di quadri relativamente normali. Tagli piccoli, una mescolanza di colori astratti, visioni contemporanee, rappresentazioni in cui ormai devi trovare la chiave da solo. Devi andarti a cercare la soluzione dell’enigma. Rintracciare il carattere dell’autore.
A parte il titolo, che potrebbe sottintendere una celata presenza di figure, non dobbiamo arrovellarci per scovare i protagonisti delle scene, sono loro a trovare noi. Ci aspettano silenziosi, e una volta nella Sala Orsini ci assalgono, l’impeto quello dei guerrieri ma lacerati dalla minaccia che arriva dagli uomini.
Il mondo di Maurizio è sulle pareti bianche, il suo dolore, la sua energia, la sensibilità e la passione fanno di noi comuni mortali, spettatori stupìti. In questo mondo in cui ci si stupisce sempre meno, i suoi quadri sono l’icona di una nuova alba.
Dove va a finire il cielo
Le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti le ho viste molto prima di entrare in sala. Un giorno che sono andata a trovarlo erano lì, pronte ad accogliermi in un’atmosfera drammatica.
Diciamo che la Sala Orsini di Palazzo Chigi è grande, bianca, luminosissima, le tele, che come vi dicevo non hanno dimensioni normali, respirano meritatamente tutta la loro aria. Ma la stanza a casa di Maurizio è minuta, e tra l’altro sono andata di pomeriggio quindi li ho visti sotto una luce opalina.
Un’altra dimensione, è vero, ma un progetto, quando è bello, è bello sempre. Anzi, quella reclusione a ridosso delle pareti, quel soffocamento di spazi, quella goccia di luce che cadeva sulle pieghe di colore innescava una potenza inaudita.
Forse “Il cielo in una stanza” cantata da Mina, è proprio quella stanza, e io -piccolissima- ho assistito a una scomposizione di piani, di tavole che si aprivano e si chiudevano come porte a scomparsa.
L’elefante, la tartaruga, il Maripara, il cavallo, il quarto di bue, il NeoNato, i sanpietrini, Valle Giulia, il rinoceronte, il capodoglio, la mucca, la Periferia in sogno, l’asino e il cane sono entrati e usciti da quelle porte.
Le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti tra stupore e dolore
Un teatro solo per me, che sembravo la ballerina di un carillon senza musica. Piroettavo lì, nel mezzo, trafitta dagli occhi degli animali, esclamavo “noooo” senza respiro, tanta era la melodrammaticità che mi graffiava lo sguardo.
Maurizio mi racconta alcuni quadri perché io continuo a dire “noooooo”. Un “no” tra lo stupore più autentico -quello dei bambini che osservano per la prima volta il mondo- e il dolore più crudo, vorace, che morde l’ugola. I suoi animali sono vivi, sono grandissimi, contengono dei messaggi brutali che li rendono portavoce assoluti di molte storie.
Storie che l’autore ha letto sui social, vedendo passare delle fotografie che lo hanno colpito, che gli hanno fatto desiderare di costruire subito una tela. Costruirla perché per quello che sentiva di dover rappresentare lui, non sarebbe bastato un quadro di dimensioni normali. No, doveva essere come un megafono l’immagine.
Dall’Elefante alla liberazione
È iniziato tutto con l’elefante, che credevo dormisse e invece poi ho scorto due balordi, alle spalle, che lo avevano ucciso. Due cacciatori di frodo. Mi è salita una rabbia, una commozione! E nel giro di due settimane avevo preparato la tela più grande che avessi mai fatto. Due metri per 1,70.
Ho preso un lenzuolo, ho costruito delle assi artigianali e mi sono buttato a capofitto in quella storia. Avevo voglia di farlo subito, avevo chiaro cosa fare, era tutto nella mia testa”
E l’ha fatto. Poi da quell’esperienza sono nati tutti gli altri, come se una fiamma lo bruciasse ma senza consumarlo. Era lì, ben presente a costruire altre tele, e poi altre ancora. A usare la sua tavolozza che ha vent’anni di colore sulla superficie. Un pezzo antico, pregno, compatto, pesantissimo, intonso di colori plastici. Un’opera d’arte anche la tavolozza, in verità.
Tra le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti ci sono gli animali offesi
Ispirato da quel primo guizzo di piacere assoluto, ha riscritto la storia di altri animali visti soffrire per mano di un uomo.
Quella dell’elefante Canù, ad esempio, lasciato ammalare di solitudine davanti a un muro su cui dava testate tutto il giorno. E quella del cane malmenato -un randagio forse- con la pelle sferruzzata da mille tagli e una magrezza d’ossa che percuote gli animi. E anche quella di un cavallo con la mascherina, tra i malcapitati che trainano le carrozzelle di Roma, costretti a sopperire 16 ore al giorno, in condizioni miserevoli.
Le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti sono anime pure, sono asini attaccati a una corda, tartarughe impigliate in reti da pescatore, cavalli che subiscono angherie, rinoceronti preziosi solo perché il loro corno vale oro. E infatti l’autore lo rende iconico così.
Un quadro che vi farà impazzire è la tartaruga in una posa insolita, un guizzo giocoso che le toglie di dosso il marchio di eterna dormiente.
La meraviglia assoluta
La poetica di Fabretti è nelle pieghe della pelle di questi animali, tra le vesti della Statua Maripara, a cui per ironia o grazia, restituisce in qualche modo la testa rubata. È nel viso “di vetro” della donna a cui viene lanciato un bicchiere d’acqua in faccia, in quell’espressione di panico, o desiderio, che a noi arriva come un grido muto. Ma è più di questo, è una crociata per non vanificare il significato vero di “Bellezza”, quella che dura, e non quella fisica.
Ma è anche nel misterioso fondale marino dove un capodoglio si affaccia in quella bolla di luce che lo rende velato, morbido, impermeabile, una carezza nell’acqua.
Con i piedi nella pittura
Nello stare davanti a questi quadri, ai protagonisti, all’ambientazione, ai drammi, mi sono sentita tirare dentro, protagonista anch’io delle loro storie .
Ero ad accudire l’asino, a liberare la tartaruga dagli intrecci assassini, ad accarezzare i cavalli e il rinoceronte, a rimettere la testa sulle spalle del Maripara e a nuotare con il capodoglio, leggera.
Un minuto ero a Valle Giulia dentro un vagone della metropolitana, a guardare sbalordita il viso disincantato di Pier Paolo Pasolini, e un minuto dopo nel feto di una mamma, dove il NeoNato sembra cullarsi nel liquido amniotico mentre due statue, le telamone, sorreggono per lui il peso del mondo.
Da dove nascono le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti
Le mani del Fabretti sono uno strumento al servizio dell’arte vera, quella di un tempo. Quella consumata dei pittori. La follia chiusa nella sua testa, che esplode, e che lui stesso mi dice: “non riesco a contenere”.
Una bella follia con messaggi forti. Un’operazione sociale che non inizia ieri, ovviamente.
Parte dall’Accademia di Belle Arti e prosegue nel Restauro. Lo studio e il lavoro lo forgiano iniettandogli l’amore per l’archeologia, per l’arte, e per lo stile barocco soprattutto. Elementi che ritroviamo anche in questo suo recente periodo. Non a caso la parte scultorea è pressoché sempre presente e aggiunge una cifra stilistica alle sue opere.
L’ultima opera
Il continuo contrasto/incontro tra esseri viventi e presenze marmoree lo trovo bellissimo.
Non ho la competenza per dire “originale” ma una sua originalità ce l’ha. Per esempio nell’ultimo quadro dipinto,Un piatto di mare, affiora un’unicità che è difficile aver visto altrove.
A me il piatto, personalmente, ricorda un posacenere che vidi tanti anni fa a casa di mia zia. Anche quello aveva un putto sul bordo.
Ecco, questa composizione surreale è diventata il pretesto per denunciare le stragi che ogni giorno fa il mare, o più precisamente la nostra indifferenza.
Potrebbe sembrarvi non c’entrino nulla un piatto e un clandestino insieme, ma Maurizio Fabretti invece quel senso glielo ha trovato. E come per ogni altro quadro, ha avuto l’urgenza di tirare su una tela alta 1.90 per 1.60 di cui però non vi svelo di più.
Le ferite delle Anime Nascoste
Per tornare alle statue, l’autore a un certo punto mi dice:
Vedi la patina? Questo ingiallimento che corrode le superfici di marmo, questi colori quasi fluorescenti che le ledono… una volta, quando il mio lavoro era restaurare un’opera, le pulivo, le smaltavo, le riportavo a nuovo. Ricucivo la ferita, ricucivo il tempo.
Nei miei dipinti invece mi piace farne risaltare lo squarcio perché quello da un’identità vera alle cose. E soprattutto in quello squarcio io ci vedo anche la Cappella Sistina”
Troverete una forza incredibile in queste ferite dei marmi, da cui si intravedono gli organi interni. Non suggestiona tanto la crudezza quanto la verità che c’è dietro ogni pelle disfatta.
La spatola, elemento chiave
Il linguaggio dell’artista è appassionato, è presente, non sfugge al dolore che prova. Lo guarda affranto in una fotografia, gli costruisce una cornice intorno e ce lo butta dentro in modo violento, con i colori che sente lo rendano reale.
Prende la spatola e li lavora, sa che può sbagliare, la spatola non è come il pennello. Ma non importa. Non importa perché è più urgente il messaggio. Fa due – tre crocette, ferma dei punti ma il resto della rappresentazione è solo nella sua testa.
Due crocette e niente matita
Le Anime Nascoste di Maurizio Fabretti non hanno visto la matita, non sanno cosa significhi essere prima disegnate e poi colorate. Non funziona così.
Torno alle mani del Fabretti che non sanno aspettare, bramano quella storia e la vogliono subito. Non disegna nulla, la sua testa proietta tutto direttamente sulla tela.
E io sono rimasta come rimarrete voi: completamente soggiogata da questa capacità, soprattutto vedendo le proporzioni dei dipinti.
Non ve li posso descrivere tutti, ma tutti meritano una spiegazione. Fatevi raccontare dal Fabretti la storia del San Sebastiano, oppure quella della Carne sulla porta o ancora quella dei Sanpietrini. Quest’ultima tra l’altro ricalca il verso famoso “una risata vi seppellirà” sintesi emblematica del ’68 ad opera dell’anarchico Michail Bakunin.
Leggi la poesia LASSU’ CON DANTE
scritta per ricordare il sommo Alighieri il giorno della sua morte 700 anni fa.
Sanpietrini una risata vi seppellirà tutti
Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.