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Giorgio Cuscito al Jazz Festival di Formello

di Emanuela Gizzi
Giorgio Cuscito PhotoCredit Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Giorgio Cuscito ha adottato come motto una frase di Vinicius de Moraes, “la vita, amico, è l’arte dell’incontro”, da quando è piccolo gli incontri sono per lui fonte di poesia

Album dei ricordi

Giorgio Cuscito non avrebbe bisogno di presentazioni, ma una premessa la devo fare: è un uomo straordinario oltre che musicista di grande talento, ha un battito dentro che è quello della musica ma anche quello del cuore.

Quando l’ho incontrato la prima volta aveva quest’aria divertita, questo sguardo -dietro gli occhiali- così accomodante, e attento.

In questo articolo ho inserito diversi scatti, che ho realizzato durante i vari concerti, ma l’immagine più viva che ho è di quando, a un Jazz Festival -poteva essere il 2012- salì sullo sgabello e iniziò a suonare il pianoforte con i piedi. Era talmente dentro quel brano, nel beat, che il suo corpo era diventato una nota. Fu un momento esilarante.

Ritratto a Cuscito PhotoCredit Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Viaggio cinese

Ieri l’ho incontrato in occasione dell’XI Edizione del Jazz Festival, non ho potuto non carpirgli un’intervista, qualche pensiero dei suoi, che -come tutti i grandi jazzisti- è sempre all’avanguardia.

Abbiamo parlato di musica, sì, ma gli ho chiesto quale fosse stato un viaggio emozionante, tra quelli fatti fino a quel momento. Cosa ricordasse di questo viaggio e perché lo aveva intrapreso.

Era il 2016, mi dice, un viaggio nato proprio dal Jazz.

“Devi sapere che ho il ruolo, ormai da tempo, di far ballare la gente e, per questo motivo, un giorno, la comunità dei lindyhoppers di Roma, mi ha consegnato una targa. Da allora il mio ruolo è diventato effettivo, sono Ambasciatore dello Swing

Sorride, dicendomelo, come se lo imbarazzasse essere stato insignito di un titolo importante.

Quando Giorgio parla di comunità menziona tutte le scuole di Roma, una big family, che ha quella caratteristica unica delle scuole, è una casa. E in questa casa, mi racconta con orgoglio, nascono amori, matrimoni, vacanze insieme, e il vivere di musica, di ballo, influenza anche i figli che hanno la grande opportunità di conoscere un mondo artistico incredibile.

“Per tornare alla tua domanda, sul viaggio, io sono stato in Cina, ed è stata un’esperienza unica. Dopo la targa, le istituzioni hanno notato il bel lavoro che stavamo svolgendo e, lo stesso, anche l’Umbria Jazz. Così, di punto in bianco, mi è arrivata la proposta di partire, insieme ad altri grandissimi musicisti, per la Cina. Avremmo dovuto trasferire -in blocco- l’Umbria Jazz a Changdu, portare lo spirito e la tradizione del Festival in un territorio inesplorato e di diversa cultura, ma fertile.

È stato un viaggio importantissimo, eravamo 13 persone, sette musicisti e sei ballerine, una novità assoluta mai accaduta prima verso l’Oriente. Dovevamo esibirci sul palco, essere noi stessi, insomma. E davanti avremmo avuto un pubblico che, immaginavamo, curioso, lontano dal jazz”

Cuscito in versione jazz PhotoCredit Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Dove non arrivano gli uomini arriva la musica

Giorgio Cuscito, il grande pianista, sassofonista e vibrafonista, a un certo punto, ha gli occhi lucidi, anzi, piange commosso davanti a me, mi fa entrare in quel suo pianto. In quella sua intima confessione.

Prima di arrivare a Changdu, c’era stata una grande preparazione, un lavoro certosino, laborioso. Soprattutto perché le autorità cinesi volevano essere informate, dettagliatamente e anticipatamente, dei brani che avrebbero portato sui palchi.

“Volevano essere certi che i testi fossero consoni per il loro paese”

Una burocrazia rigida che si stemperò quando Giorgio ricevette un post su un social network.

“Eravamo certi che nessun cinese masticasse il jazz. Così certi che, quando lessi il post di questa donna americana, abitante di Chagdu, rimasi stupito. La donna aveva fondato una scuola di swing e, nel sapere del nostro arrivo, si era voluta sincerare che fosse vero. Nel post mi chiedeva il programma e le tappe perché, mi informò, ci avrebbero seguiti ovunque. Quei suoi allievi non avevano mai avuto la possibilità di vedere uno spettacolo di swing dal vivo, con dei musicisti reali. Questo gruppetto si riuniva in un luogo, avevano un giradischi, e lei gli insegnava i passi. Ma quel che apprendevano non potevano trasferirlo in un festival o in altra circostanza. Per me fu qualcosa di scioccante”

Quegli incontri definiti da Vinicius de Moraes

“Come anticipato dal post, vennero ogni sera. Alla prima, li abbiamo riconosciuti subito, operosi, divertiti, ci guardavano come fossimo delle personalità.

Lì, ho capito che, ciò che per noi è un’abitudine, qualcosa di assodato, quasi di scontato, in altre parti del mondo non lo è. Che c’è così tanto da fare! E averli resi felici è stato qualcosa che mi porto dentro, da allora, per questo mi commuovo”

Per questo, una sera, Giorgio Cuscito, gli altri musicisti e i ballerini, si sono presentati nel locale dove, solitamente la signora americana, impartiva loro, lezioni di ballo. Stavano ballando, infatti, e nel veder entrare l’intera Band si sono fermati coralmente, hanno alzato le mani e è piovuto giù un applauso pregno di stima, affetto, gratitudine.

C’era un giradischi, l’aria si è mossa. I ballerini si sono messi a disposizione di tutti e quella serata ha viaggiato per conto suo.

“Intorno a noi ci sono state le forze contrastanti: da un lato questa umanità, un pubblico che è già sul posto ad accoglierti fa breccia, e un console che ci scrive e ci ringrazia, altrettanto; dall’altra un cordone di polizia presente in tutti i concerti, e che traduce in modo invadente quel che stai cercando di spiegare delle canzoni. È capitato una sera di sforare di sei minuti l’orario concordato. Li abbiamo visti salire ai lati del palco, pronti a intimarci di terminare il concerto. Cose così, che, per come sono fatto, rispetto, ma –credimi- non mi sono sentito rispettato

 

Giorgio Cuscito con Lino Patruno PhotoCredit Emanuela Gizzi Mapping Lucia

Ambasciatore tra jazz e swing

Un viaggio da ambasciatore a tutti gli effetti, gli dico, vedendo che quella commozione e quelle lacrime, che porta con sé, gli invadono gli occhi ma anche l’anima.

“Il ruolo di ambasciatore significa creare sinergie, circoli virtuosi, unire forze tra le varie realtà, e questo ci è riuscito finora. Personalmente fare l’ambasciatore, per me, è significato anche dover suggerire -a chi fa spettacolo- l’efficacia di alcune realtà musicali, piuttosto che altre, ma solo per una questione di comunicazione, non di bravura. Non mi sento un giudice.

E aver contribuito alla carrambata tra jazz e ballo, anche quello mi ha ispirato, ha ispirato altrI. E’ stato lo spunto per portare il jazz in piazza.

Io odio l’arte di nicchia, le cose buone devono essere alla portata di tutti. Non mi interessa godere con pochi del bello, l’intento è divulgarlo.

La carta vincente è questa, la gente non è stupida, se gli dai la possibilità di scegliere, sceglie bene. Guarda in Cina, guarda qui, a Formello, il Jazz Festival ha tante edizioni alle spalle. Significa che piace anche alle persone comuni”

Il Jazz show di Lino Patruno, è una sicurezza, mi dice, e portiamo a Formello la tradizione storica di New Orleans, della Chicago degli anni venti e trenta, l’esperanto è questo tipo di jazz qua.

Stasera non c’è in repertorio un pezzo che parla di viaggio ma Giorgio Cuscito me lo racconta così: è un brano del compositore Edward Duke Ellington, era la sigla della sua orchestra. Venne scritto da un arrangiatore importante, Billy Strayhorn, tra l’altro uno dei primi gay dichiarati, era il 1939, un’avanguardista.

Si intitola Take the A train, Prendi la Metro A, perché era il treno che portava dai bassifondi di Harlem fino a Broadway, dove le cose funzionavano. Questo viaggio era sperato dai musicisti tanto che ne venne fuori una canzone che guardava all’integrazione, a una vita migliore per tutti. È il viaggio che speriamo di fare sempre noi artisti.

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Sono prima di tutto una viaggiatrice, annuso la vita e ne trattengo le radici. Quindi scrivo per piacere ma anche per lavoro. Scrivo perché senza non saprei starci. E poi fotografo perché la fotocamera è il mio psicologo personale. Cammino sempre con un animale di fianco, un gatto un cane un cinghiale un ippopotamo. Insomma converso. E poi scrivo di nuovo.

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